Le semplificazioni non servono a capire l’estrema frammentazione, o somalizzazione, della Libia post-guerra Nato (2011). E così il fallito attentato della notte di martedì (non è il primo) contro il premier di Tobruk e Bayda, l’ex ministro della Difesa di Tripoli, Abdullah al-Thinni, (nella foto) può apparire uno dei tanti regolamenti di conti dopo il tentato golpe Haftar del giugno 2014.

Invece non è così. Entrambe le fazioni libiche, gli islamisti di Tripoli e i militari di Tobruk, sono a loro volta divisi in una miriade infinita di conflitti personali, tra milizie, sul controllo territoriale, degli introiti del petrolio, dei mille contrabbandi, sulla gestione dei ministeri, nelle alleanze con sezioni all’interno dell’esercito e nelle alleanze internazionali.

E così il tentato assassinio di al-Thinni, dopo una seduta accesissima del precario parlamento di Tobruk e i contestatori armati che chiedevano le dimissioni del premier fuori dalla sede della Camera, suonano come un avvertimento di Khalifa Haftar contro il governo che lo appoggia. Sebbene non ci siano prove su chi abbia tentato di uccidere al-Thinni, Haftar da mesi non nasconde la sua insofferenza per le richieste di moderazione che vengono dal parlamento che più volte ha chiesto all’ex agente Cia, senza successo, di non attaccare Tripoli mentre erano in corso i colloqui di pace, ormai falliti, per la formazione di un governo di unità nazionale, con la mediazione dell’inviato Onu, Bernardino León.

Haftar si è auto-proclamato capo delle Forze armate lo scorso gennaio, a guida della debole parte dell’esercito che appoggia Tobruk. Da quel momento il dualismo con al-Thinni è diventato palese tanto che diplomatici vicini ai due uomini forti della Libia post-Gheddafi dicono che i due militari neppure si rivolgono la parola. Addirittura alcuni parlamentari hanno chiesto che Haftar non dia conto del suo operato ad al-Thinni sottolineando il suo malgoverno e incapacità finanziaria. In altre parole togliendo di mezzo al-Thinni, Haftar potrebbe procedere ad un intervento su larga scala in Tripolitania, con il sostegno aperto di Egitto e Arabia Saudita, e l’avallo dell’Ue.

Anche Federica Mogherini (Mister Pesc Ue), impegnata sulla questione «operaziione di polizia» per fermare i flussi migratori dalla Libia, ha reagito duramente alla notizia: «È un ignobile tentativo di destabilizzare» il paese, ha dichiarato confermado il ruolo centrale di al-Thinni nei colloqui di pace. Il governo di Tobruk è anche diviso sui rapporti con i vari gruppi jihadisti attivi nel paese: se i miliziani di Zintan appoggiano il tentativo di Haftar di conquistare la Tripolitania, molti accusano l’ex generale di rapporti con i jihadisti dello Stato islamico di Sirte.

Queste divisioni non mancano neppure nel fronte islamista che per semplificazione viene ritenuto come dominato dai Fratelli musulmani libici. In realtà i vincitori delle prime elezioni che si sono tenute nella Libia post-Gheddafi nel 2012 erano partiti laici. Solo in seguito alla fuga del premier Ali Zeidan, dovuta alla vendita illegale di greggio da parte dei secessionisti della Cirenaica alla petroliera Morning Glory, gli islamisti hanno preso il controllo del Congresso e boicottato le elezioni del giugno 2014, invalidate dalla Corte suprema. Per chiarire la frammentazione del fronte islamista, appoggiato dalle milizie di Misurata, anche a Tripoli il premier Omar al-Hassi è ritenuto dimissionario. Per mesi il parlamento tripolino non era riuscito a trovare l’accordo per nominare come premier al-Thinni, determinando la sua fuga a Tobruk e la sua alleanza con Haftar.