Sognano un’agorà animata da filosofi dello sport che sostituisca il Bar Sport Italia. Un gruppo di filosofi nato intorno all’università di Teramo vuole elevare il livello culturale del dibattito sullo sport e la formazione dei dirigenti sportivi. Ne parliamo con Luca Gasbarro, un giovane filosofo dello sport, docente di Simbolica politica e sport presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Teramo. Ha pubblicato: Ripensare lo sport a partire dalla sussidiarietà (Nuova Cultura, 2011); Il corpo che «lotta». Spunti per una riflessione simbolica (Nuova Cultura, 2012); Filosofia e sport. La peculiarità del laboratorio atriano (M@gm@, 2013).
Che cos’è la filosofia dello sport?
Una riflessione attorno al fenomeno sportivo, mediante le lenti critiche filosofiche, tentando la ricerca di quegli elementi, che nel caso dell’etica chiariscano quali potrebbero essere le regole costitutive, la forma ideale, il dover essere, al di là dei condizionamenti derivanti dall’epoca storica o dal contesto in cui il fenomeno sportivo è stato praticato. Proporre alcune categorie interpretative che non sono definitive o assolute, ma rappresentano degli strumenti utili ad alimentare il tentativo di circoscrivere con metodo l’ambito della discussione.
In Italia come nasce?
Il fenomeno sportivo non ha goduto di un certa considerazione in particolari ambiti accademici del nostro paese. In quello filosofico, fermo restando le eccezioni rappresentate dagli studi di Fabrizio Ravaglioli, Giuseppe Sorgi e pochi altri, il fenomeno sportivo non è stato considerato abbastanza degno di specifiche attenzioni. Nell’ultimo periodo, tuttavia, si registra una certa «effervescenza».
Non c’è il rischio che le vostre riflessioni sullo sport siano relegate a pure dispute accademiche?
Il fatto che in ambito accademico si discuta del fenomeno sportivo può considerarsi già un successo. Grazie all’iniziativa pionieristica del nostro ateneo, circa venti anni fa, si è cercato di scardinare il confine che vedeva lo sport relegato fuori dall’Accademia. Pensare lo sport come «fatto culturale» ha posto tale fenomeno quale laboratorio di ricerca. La multidisciplinarità ha consentito di considerare di pari dignità scientifica le varie prospettive, filosofica, storica, giuridica, economica, sociologica, comunicativa ed altre, per mezzo delle quali lo sport può essere indagato, svelandone una fertilità scientifica fino a qualche tempo fa poco considerata.

La filosofia dello sport può arginare la chiacchiera sportiva?
Non si tratta di arginare o di combattere la chiacchiera sportiva. Una delle fonti inesauribili del successo dello sport, e del calcio in particolare, sta proprio nel fatto che tutti si sentono in diritto di dire la propria, una democrazia «estremamente» partecipata. Bisognerebbe riflettere non sul quanto, ma sul come se ne parla, spostando l’attenzione da un piano quantitativo ad uno qualitativo. Si tratterebbe di interessarsi meglio circa i centri e i soggetti che, in qualche modo, partecipano alla formazione delle opinioni in tema di sport.
Lo sport di vertice potrebbe avvantaggiarsi della filosofia dello sport?
L’intuizione iniziale, una lucida follia, portata avanti negli anni dal nostro ateneo, era quella di tentare di proporre un percorso formativo per quelle future professionalità che avrebbero dovuto governare lo sport, ricoprendo ruoli e responsabilità apicali sia nelle società sportive di base sia nelle istituzioni pubbliche. Si voleva rompere una cristallizzata autoreferenzialità del sistema sport, che aveva radici lontane e che poteva trovare una positiva metamorfosi mediante una profonda iniezione di cultura con degli strumenti critici validi, capaci di delineare e raggiungere nuovi traguardi, non solo in termini di risultati sportivi, ma di un più ampio e completo tentativo di governo del fenomeno.
E la politica?

Distinguerei tra la possibilità di interpretare lo sport come fenomeno nel quale si annidano variabili strettamente connesse alla sfera politica, penso ai concetti di autorità, regole, confronto-scontro, nemico-avversario e la possibilità di analizzare le modalità con cui la classe politica di turno si occupa del fenomeno. Nel primo caso, si è di fronte ad un tentativo di interpretare lo sport alla luce di alcuni spunti inerenti alle discipline specifiche come la filosofia politica. Nel secondo caso, tesi contenute nel testo di Gerard Vinnai, Calcio come ideologia, uscito alla fine degli anni ’60 e ripubblicato nel 2004, siano riproponibili anche oggi con le dovute differenziazioni. Purtroppo non si riesce da parte del soggetto politico, ad invertire la tendenza ad utilizzare lo sport come strumento di tornaconto elettorale, e non quale luogo privilegiato di sperimentazione di interventi mirati con benefici lungimiranti per il «bene comune».
Qual è il rapporto tra la filosofia dello sport e gli aspetti etico-politici dello sport?
Partiamo dal presupposto che lo sport è un universo sociale complesso e che tra i suoi fini più significativi può esserci il semplice alimentare una passione comune, che può trasformarsi in una grande forma di partecipazione civile. In tal caso può risultare interessante mettere in relazione lo sport con temi come la democrazia, la partecipazione, la sussidiarietà. In altri termini, recuperare l’idea che mediante lo sport si possano coltivare alcune virtù, che definirei civili, quanto mai necessarie non solo per ottenere risultati positivi in campo con dei «buoni» atleti, ma per avere dei «buoni» cittadini fuori dal campo. Penso soprattutto ai più giovani e alla loro educazione.

I risultati agonistici poco lusinghieri dell’Italia sono dovuti anche all’assenza di filosofia dello sport negli ambienti del Coni? All’estero come funziona?
Mancando una certa idea progettuale, derivante anche da una limitata formazione culturale su prospettive di fondo, tra cui quella filosofica, risulta difficile per un dirigente avere una visione di lunga durata, si tende ad avere una visione limitata e ristretta al breve periodo, che può condurre a risultati estemporanei, ma poi sbiadiscono. Non dimentichiamo il peso degli interessi economici, che costringono dirigenti e sportivi ad operare sempre in vista del risultato immediato e raramente a lavorare per progetti a lungo termine. Una tale situazione, per principio, difficilmente trova un punto di contatto e di equilibrio con il discorso filosofico, etico, morale, attento al rispetto delle regole e poco interessato al profitto. All’estero, grazie a una più rilevante considerazione della prospettiva filosofica/morale, lo sport gode di un credito maggiore e più ampio di una semplice attività utile per il benessere psicofisico di chi lo pratica.
I vostri rapporti con il Coni?
Abbiamo più volte condiviso progetti tesi ad un aggiornamento e rinnovamento culturale sia dei quadri dirigenziali sia dei tanti appassionati, che svolgono volontariato all’interno delle moltissime società sportive anche con ruoli di responsabilità. In passato tutto si faceva grazie alla generosità e all’impegno dei singoli, oggi c’è bisogno di competenze manageriali, giuridiche, etiche, comunicative, di una «massiccia» dose di cultura sapientemente immessa in tale spaccato sociale, possibile fonte di risultati di lungo periodo.
La filosofia dello sport può aiutare a capire un mondo dello sport che si fa sempre più complesso?
Penso che sia uno dei compiti da perseguire per chi si occupa di filosofia dello sport. Il tentativo di delineare con metodo un percorso filosofico sullo sport può rappresentare un modo per arginare una certa confusione, che è fonte di incomprensioni e di fraintendimenti. Avere più chiari i termini del discorso, aiuterebbe nello sforzo di riuscire a dialogare in una lingua comune e, conseguentemente, mediante tale fertile scambio di opinioni, arrivare meglio a capire cosa c’è alla base di taluni fenomeni. Il filosofo è alla continua ricerca, un continuo «navigare» in senso platonico, dell’essenza delle questioni, in questo caso ci si riferisce ad un fenomeno come quello sportivo, che affascina milioni di persone.