Moderato dal giornalista conservatore ed editorialista della Fox Chris Wallace, il terzo e ultimo dibattito presidenziale è iniziato come il più «sostanzioso» dei confronti diretti fra i candidati ma è terminato come degno epilogo di questa anomala campagna, sottolineando soprattutto la profonda acredine che divide Hillary Clinton e Donald Trump e gli elettori che rappresentano.

Il borioso palazzinaro di New York si è presentato sul palco dell’università del Nevada in veste più pacata di quella precedentemente esibita, frutto di una apparente maggiore preparazione fatta su richiesta dei suoi consulenti, preoccupati del distacco aperto da Hillary.

Gli ultimi sondaggi parlano di un vantaggio nazionale ormai consolidato di Clinton.

Più significativo ancora, dato il sistema maggioritario secco del collegio elettorale, i democratici sembrano aver rafforzato la propria posizione negli «swing states», gli stati «in bilico», potenziali arbitri del risultato finale. Negli ultimi giorni ad esempio sembrano essersi allineati nella colonna di Hillary Florida, Colorado, Michigan, Nevada, New Hampshire, Pennsylvania, Virginia e Wisconsin, stati dove l’esito era precedentemente parso incerto e che rappresentano complessivamente 107 «voti elettorali» (per vincere la Casa bianca ne occorrono 270).

Dato questo quadro, l’onere di ribaltare la situazione era tutto su Trump.

NELLE PRIME FASI del confronto l’escandescente miliardario è effettivamente parso più disciplinato e padrone di se stesso e il dibattito è somigliato a un tradizionale confronto ideologico fra dottrine liberal e conservatrici. I due hanno discettato di aborto, immigrazione e armi da fuoco. Trump ha sottoscritto l’ortodossia integralista su tutta la linea, promettendo di nominare giudici conservatori alla corte suprema per limitare il diritto all’aborto, vietare ogni restrizione al porto d’armi e ribadendo tolleranza zero su immigrazione (che nella variante trumpista prevede la costruzione dell’improbabile muraglia messicana e la deportazione coatta di 12 milioni di residenti illegali).

Malgrado i proclami populisti, in questa fase Trump è riuscito più o meno a mantenere un aura «da statista», evitando le sconcertanti tangenti per cui è noto. Ma sulla «lunga distanza» ha nuovamente evidenziato i problemi di tenuta.

NELLA DISCUSSIONE su politica estera e medio oriente, su cui Hillary è implicitamente vulnerabile per la partecipazione decisionale alle disastrose politiche americane, Trump ha esordito suggerendo che l’attacco a Mosul sia stato orchestrato da Obama per «farle fare bella figura».

Sulla Siria ha azzardato una difesa dell’operato russo ed elogiato la campagna «anti Isis» di Assad ad Aleppo nonostante la precisazione del moderatore sulle vittime civili. Affermazioni che hanno permesso a Hillary di virare il discorso sulle «affinità» di Trump per Putin e le apparenti ingerenze russe nella loro diffusione strategica su Wikileaks. Trump è parso preferire il consolidamento del proprio zoccolo duro piuttosto che cercare di allargare i consensi di cui avrebbe bisogno per colmare il distacco.

UNA SCELTA DIVENTATA del tutto evidente quando è stato interrogato sulla «massiccia frode elettorale» che da settimane va preventivamente denunciando. Sugli elenchi di voto compaiono «milioni di elettori illeciti», ha confermato Trump, senza offrire prove (la prima, ha aggiunto, è Hillary Clinton, in virtù delle attività criminose per occultare le sue email). Quando è giunta inevitabile la domanda sui risultati («può assicurare il popolo americano che accetterà il verdetto delle urne qualunque esso sia?») Trump ha risposto con un equivoco «vedremo» e peggiorato la situazione con un inquietante «ve lo farò sapere dopo, voglio tenervi in sospeso». Un’affermazione che puntualmente ha dato i titoli a tutti i giornali.

MOLTI ANALISTI hanno considerato quelle affermazioni come il definitivo atto suicida del candidato «ribelle». Di certo sono state un errore tattico che ha permesso a Hillary di distogliere l’attenzione dai propri pur numerosi talloni d’Achille: le rivelazioni di Wikileaks sulle «connivenze» con Wall street, lo scandalo (e apparente tentato insabbiamento) dell’uso privato di comunicazioni di stato, le relazioni pericolose della Clinton Foundation con potentati e governi esteri che ne hanno finanziato le iniziative umanitarie. Il pesante fardello cioè derivante dall’appartenenza alla casta per cui la frase a maggior effetto di Trump è rimasta la solita: «Dici tanto ma perché non hai fatto nulla negli ultimi 30 anni in cui eri al potere?». Domanda sommersa poi dal clamore delle esternazioni sul voto.

MENTRE HILLARY articolava ancora una volta l’indignazione delle donne per le esternazioni maschiliste dell’avversario, lui non ha potuto trattenersi dall’interromperla con una frase che sembra presa dalle sue parodie di Alec Baldwin su Saturday Night Live: «Che donna maligna!». Che è suonata come una implicita ammissione di sconfitta.

Anche il giorno dopo l’ultimo confronto tv, Donald Trump non molla sul punto che ha destato scandalo sui media Usa. «Accetterò totalmente i risultati di questa storica elezione, se vinco», ha sogghignato il miliardario repubblicano.

Qualcosa a metà tra una battuta e una minaccia, precisando che accetterà un voto «chiaro» ma senza escludere ricorsi contro un’eventuale vittoria di Clinton.