Affrontare la questione dei crimini di guerra, della loro punizione e della costruzione di un discorso pubblico in grado di elaborarne e sedimentarne la memoria nella società, ha storicamente rappresentato un terreno assai impervio per le classi dirigenti italiane ed europee dopo la seconda guerra mondiale.
Che da questo nodo contraddittorio non sciolto, e come nel caso italiano semplicemente «scavalcato» da un processo di rimozione, traggano origine letture distorte dei fenomeni del presente sembra essere confermato dalle crisi e dai processi politici regressivi che si consumano nell’est del vecchio continente.

È QUESTO il tema al centro del libro di Silvio Marconi Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, pp. 238, euro 18, introduzione di Giovanni Russo Spena), un testo che guarda alla contemporaneità del conflitto in Ucraina da un’angolazione storica originale ovvero quella del difficile rapporto tra la memoria della «guerra totale» – scatenata dagli eserciti nazifascisti in Europa – e la complessa e contraddittoria costruzione culturale, politica e identitaria della Ue vista dal peculiare osservatorio dell’est ex-sovietico.

IN QUESTO SENSO la ricostruzione fornita dall’autore sia del contesto storico d’origine sia dello sviluppo contemporaneo della nuova guerra nel Donbass riesce ad inquadrare efficacemente il conflitto in Ucraina come espressione fattuale e visibile di una guerra civile in grado di riprodurre all’interno del continente un frattura che attraversa piani politici, profili sociali ed eredità memoriali composite e laceranti, richiamando il ruolo e la funzione della storia, nonché la sua necessaria codificazione interpretativa, nella costruzione di una Europa unita.

ATTRAVERSO la documentata ricostruzione delle politiche di occupazione, repressione dei civili e contro guerriglia anti-partigiana operate dalle truppe italo-tedesche durante la campagna di Russia, Silvio Marconi, oltre a ricondurre alle responsabilità storiche della Germania hitleriana e dell’Italia di Mussolini, ripropone la questione della sostanziale impunità per i crimini compiuti durante la guerra (con una giusta attenzione a quelli del regio esercito italiano).
Non tanto in una chiave di lettura «giudiziaria» quanto in relazione alla rimozione dei crimini nazifascisti come nucleo identitario d’origine su cui hanno fatto leva, per rilegittimare la loro esistenza, quei movimenti di estrema destra che oggi sono operanti in Ucraina e in molti paesi d’Europa sui diversi piani paramilitari, politici e finanche governativi.

LE PAGINE DI DONBASS evidenziano come nel secondo dopoguerra la sovrapposizione della discriminante ideologica anticomunista (che dall’89 ha assunto un più prosaico carattere geopolitico anti-russo) su quella storica dell’antifascismo (che dal confino di Ventotene avrebbe dovuto rappresentare la dorsale fondamentale dell’unità europea) abbia finito per costituire un vizio d’origine nella ricostruzione delle società dell’Europa occidentale; d’altro canto come la cappa sovietica si sia limitata soltanto a coprire in superficie fenomeni dalle radici profonde che, con la caduta dei regimi filo-Urss, sono progressivamente riemersi fino all’affermazione di gruppi dalla natura reazionaria in termini economico-sociali; nazionalista sul piano della rappresentazione della composizione delle società statuali; xenofoba in termini ideologici.
Così come i movimenti fascisti nell’Europa degli anni ’30, l’estrema destra contemporanea si configura come un soggetto internazionalmente diffuso e in grado di dotarsi di una sua base di massa in termini di consenso elettorale e mobilitazione militante.

IN QUESTO QUADRO seguire i neri fili, come suggerisce il sottotitolo del libro, non rappresenta soltanto un «esercizio di memoria» ma richiama da un lato le evidenti difficoltà delle democrazie formali nel fronteggiare la crescita dell’estrema destra, presentata attraverso l’indistinta e dunque impolitica formula grammaticale del «populismo», e dall’altro la necessità di sostanziare socialmente forme e contenuti della democrazia rappresentativa anche tramite una più profonda relazione con il passato.