Se è impossibile uscire dal linguaggio per poter parlare di esso oggettivamente rimanendo a distanza di sicurezza, altrettanto, se non più difficile, è pretendere di parlare della poesia utilizzando parole che si trovano al di fuori di essa. Anche per riflettere sulla poesia senza scriverne altra occorre rimanere in qualche modo dentro o nei paraggi dell’emanazione di ciò che è il poetico, nella sua aura, direbbe Walter Benjamin.

Proprio una scrittura dell’aura poetica è quella che aveva offerto Ida Travi in L’aspetto orale della poesia (2003) e che torna a offrirci ora con la raccolta di scritti Poetica del basso continuo. La scrittura, la voce, le immagini (Moretti&Vitali, pp. 125, euro 12). Scrittura dei paraggi della poesia, di attraversamenti e, soprattutto, di percorsi a ritroso. Ci si volta spesso negli itinerari di questi testi, come a riprendere l’antico gesto di Orfeo verso Euridice. Ci si volta e si svolta a rimodulare anche il gesto di Hölderlin, di Heidegger. «Citare e recitare», scrive Travi, tornare sui propri passi a coltivare la malinconia di ciò che ci lasciamo alle spalle e il cui ricordo ci rallenta l’andare avanti per rendere il nostro passo pensante, trasformarlo in una durata. «Il principio se ne va mentre ritorna continuamente», scrive ancora Travi. In poesia la nascita è accorgersi di una continuità, come da madre a figlia. Per camminare è sempre necessario anche rifare il percorso. La poesia è una risposta, una rispondenza, l’indugio della rincorsa necessario a ogni procedere.

Il basso continuo che Travi elegge a guida del suo discorso è la linea melodica che fa da sostegno alla composizione. Sullo spartito esso non è indicato da note, ma da numeri. Il basso continuo è la misura generale, la possibilità di ogni altro numero, nota. Esso sta alla poesia, come il linguaggio alla lingua. Il basso è il battere, il battito, il passo che permette al linguaggio di trovare la poesia nella lingua. Murmure cooriginario al segno, esso continua a vibrare anche dopo la parola articolata.

Quella di Travi è un’esplorazione del «c’era una volta» della poesia, il racconto dell’incanto del poetico. La favola della poesia che tocca tutti gli aspetti che essa coinvolge – scrittura, immagine, gesto, attorialità, voce e silenzio. Anche da questo si evince che per Travi non solo la poesia non ha origine univoca, ma che anche il poetico, nei suoi strumenti, sta solo nella convergenza di essi senza che si possano separare gli uni dagli altri.

In questi racconti sulla poesia tutti sono personaggi, incluso chi scrive. Anche sotto questo aspetto tutto rimane all’interno, nessuna voce pretende di star fuori. E sta anche qui l’incantamento di una scrittura di e sulla poesia che si raccomanda anche come viatico pedagogico. Poetica del basso continuo è uno dei pochi libri all’altezza per un’educazione alla comprensione della poesia, alla rammemorazione del gesto dell’infanzia non solo anagrafica delle persone.