Tra i tanti motivi che spingono il presidente della Repubblica a una soluzione veloce della crisi c’è anche il prossimo appuntamento europeo: giovedì 15 dicembre a Bruxelles si terrà l’ultimo consiglio europeo dell’anno e i capi di stato e di governo non si vedranno solo per farsi gli auguri. Sul tavolo ci sono infatti dossier importanti su alcuni dei quali, come la riforma di Dublino e i migration compact per l’Africa, l’Italia – e in particolare il governo Renzi – batte e combatte da tempo. Al punto che la crisi italiana non è certo dispiaciuta ai populisti di mezza Europa che da mesi tentano di imporre una propria politica per quanto riguarda i migranti che arrivano nel Vecchio continente.

Anche per questo, per la delicatezza dei temi che verranno trattati, Mattarella punta ad avere al più presto un nuovo governo, in modo da non lasciare sguarnita a Bruxelles la postazione italiana (al contrario di quanto avviene con le altre istituzioni europee, per il consiglio i regolamenti comunitari non prevedono che, in caso di assenza, un leader possa essere sostituito, al massimo può essere rappresentato dal leader di un altro Paese).

Anche se probabilmente ogni decisione slitterà all’anno prossimo, quando la presidenza di turno spetterà a Malta, un anticipo di come potrebbero andare le cose si è avuto durante il vertice dei ministri degli Interni dei 28 di venerdì scorso (assente Alfano, al suo posto c’era il sottosegretario Domenico Manzione). La Slovacchia, a cui spetta la presidenza di turno fino alla fine dell’anno, è tornata a proporre un modello di «solidarietà flessibile» per quanto riguarda l’accoglienza dei profughi. «Abbiamo concordato e abbiamo bisogno di un sistema che funzioni davvero, perché i ricollocamenti non si sono dimostrati un granché efficaci», ha detto il ministro degli Interni slovacco, Robert Kalinak. Un’idea, quella della «solidarietà flessibile», che ovviamente non piace all’Italia e che è già stata respinta da un precedente vertice dei ministri degli Interni, ma sulla quale i paesi dell’Est non intendono cedere.

Tutti d’accordo invece, ma per motivi opposti, sul fatto che finora i ricollocamenti non hanno funzionato come sperato. Dei 160 mila profughi che nel 2015 era stato deciso di distribuire tra i 28 da Italia e Grecia, ne sono stati ricollocati appena 8.162 (6.212 dalla Grecia e 1.950 dall’Italia). La Slovacchia, che protesta tanto, per dire ne ha accolti solo 9, anche se ha preso 1.200 siriani dal’Austria, che però non fanno parte dei 160 mila previsti. Per capire la distanza tra le posizioni basti sapere che due giorni fa Bruxelles è tornata a chiedere agli Stati membri di accogliere 3.000 profughi al mese fino a marzo e 4.500 al mese da aprile a settembre.

Bratislava ha sintetizzato le sue proposte in un documento contro il quale si è già schierata l’Italia che contesta soprattutto due principi, come ha spiegato Manzione: «Il primo è l’introduzione della procedura preliminare che anziché rendere il sistema più fluido in realtà lo complica in maniera significativa – ha detto il sottosegretario – L’altro è che rimane tutta integrale la responsabilità dell’esame delle domande e dell’assuzione di responsabilità da parte dello stato di primo sbarco». In pratica Dublino come ha funzionato finora, cosa che invece Roma vuole modificare.

L’unica vera convergenza riguarda i migration compact. In questi giorni gira una bozza di quello che potrebbe essere il documento finale del vertice del 15 nella quale non solo si sostiene la necessità di fare accordi con i paesi africani di origine o di transito dei migranti per fermare le partenze, ma si propone di estenderli a un numero maggiore dei cinque con i quali le trattative sono già avviate (Niger, Nigeria, Senegal, Mali ed Etiopia).

Tra gli altri temi che verranno trattati il 15 c’è anche la successione del presidente del consiglio Donald Tusk – legata alla scelta del nuovo presidente dell’Europarlamento dopo le dimissioni di Martin Schulz – e la sicurezza e la difesa europea, capitoli per i quali gli Stati si preparano ad approvare un aumento di risorse.

Infine tra i dossier possibili c’è quello forse più spinoso, relativo alla liberalizzazione dei visti. Il Consiglio Ue è orientato a valutare positivamente i progressi fatti dai Balcani occidentali, ma la vera questione riguarda la Turchia che chiede da tempo la possibilità per i suoi cittadini di circolare nell’area Schengen senza restrizioni. Minacciando, in caso contrario, di invalidare l’accordo di marzo sui migranti e di «aprire le porte» ai profughi. Per Bruxelles Ankara deve ancora rispettare sette dei criteri richiesti per ottenere l’esenzione, ma il vero ostacolo è rappresentato dalla repressione messa in atto da Erdogan dopo il golpe di luglio e giudicata esagerata dall’Unione europea, al punto che l’Europarlamento ha già votato una risoluzione in cui si chiede di sospendere ogni trattativa. Un nodo giunto ormai al pettine e che rischia di far saltare definitivamente ogni negoziato con la Turchia.