Marciano in blocchi, uno spezzone con le bandiere d’Italia, un altro con il vessillo dell’Unione europea sbarrato da una X rossa. Le stelle, il blu e il rosso nell’insieme ricordano la bandiera sudista, un accostamento che non è mai dispiaciuto ai razzisti.

Salvini è un leader televisivo. Al punto che mentre si aspetta il comizio i maxi schermi rimandano i talk show dove è stato ospite. Tutti. Lo si può applaudire mentre litiga da Vespa, da Floris o da Giannini, il suo pubblico lo riconosce così. E quando appare sul palco – camicia bianca ma fuori dai pantaloni e coperta da una t-shirt che inneggia a Graziano Stacchio, il benzinaio vicentino col fucile – il segretario della Lega ha l’iPad in mano e si mette a riprendere la folla. Mentre la folla riprende lui.

È un one-man-show con alcune comparse. Roberto Maroni e Luca Zaia sono sul palco. Maroni piuttosto eccitato come a far dimenticare precedenti timidezze e pericolose simpatie per il reprobo Flavio Tosi (il sindaco di Verona alla fine è venuto, ma si è fermato ai piedi del palco); Zaia fa un discorso il cui unico senso è che l’hanno fatto parlare perché è in campagna elettorale. Poi un altro po’ di vecchi colonnelli leghisti come Calderoli o Castelli che aspirano al nuovo cerchio magico. C’è anche il malconcio Umberto Bossi che deambula lungo il proscenio, è assai fuori posto e finisce per incastrarsi tra i tubi innocenti. Il vecchio senatùr sente ripetere il suo antico grido di battaglia – «identità» – ma scandito in romanesco. Giorgia Meloni grida alla disperata: Salvini ha una maglietta per Stacchio? Lei di più, vuole che al benzinaio che ha ucciso venga data una medaglia. La giunta lombarda di Maroni ha deciso di coprire le spese legali di chi si fa giustizia da solo. «Non esiste l’eccesso di legittima difesa, se entri in casa mia in piedi sai che puoi uscirne orizzontale», riassumerà poi Salvini.

Quando attacca «le politiche mortifere» Marine Le Pen ce l’ha ovviamente con l’Unione europea. L’alleata eccellente si unisce dal video alla compagnia e regala un pensierino: «La folle sottomissione ai burocrati ci sta riducendo in schiavitù». Il neo fascista Di Stefano, vice capo di Casa Pound, dice che questa «è la più bella manifestazione mai vista a Roma» e si accoda a Salvini – «condividiamo ogni singola parola del suo programma» – con tre slogan: «No euro, stop immigrazione e prima gli italiani». Purtroppo per Bossi pronuncia gli itagliani. Sventolano bandiere russe (nel nome di Putin) mentre c’è spazio anche per l’ex deputata Souad Sbai, già berlusconiana poi finiana. Salvini non è eclettico solo nelle letture – consiglia Antonia Arslan e Marco Paolini – o nella scelta dei punti di riferimento – da don Milani a Panagulis, ma cita anche don Sturzo -, lo è soprattutto nelle alleanze. Per lo sbarco al sud si è affidato agli ex di Fini ma anche di Di Pietro e di Grillo. Un po’ di grillismo c’è nella sfilata delle testimonianze «sociali» – il medico, l’esodato, il genitore separato – e nel compiacimento del «vaffanculo». Ma Salvini è anche renziano, quando spiega che non perderà tempo dietro accordi politici (che magari farà, con Forza Italia) perché punta a conquistare il 51%. Ecco la destra a vocazione maggioritaria che comincia raccattando tutto. Si intravede sul palco la deputata Barbara Saltamartini, fino a ieri con Alfano che qui si scrive Al-Fano e fa rima con «musulmano».
Tra la folla le vecchie abitudini popolari leghiste scolorano. C’è sempre la riffa con in palio una cucina componibile, un arredo bagno e un forno da incasso. Ma in un angolo desolato della piazza. Ci sono i vecchi gadget con l’Albertino e il sole delle alpi, ci sono i grembiuli «cucina padana». Ma finiscono travolti dalle magliette «Renzi a casa» con la firma di Salvini. C’è un solo celtico con elmo e corna ed è lui a inseguire le telecamere. Casa Pound ha i due marò sullo striscione e un solo slogan autorizzato: «Siamo qua tutti insieme a sostener Sovranità». Scavalcati a parole dai giovani padani dell’era Salvini, che hanno cucito un teschio al centro del sole delle alpi e cantano «comunista figlio di puttana» alternandolo con «clandestino figlio di puttana».

Salvini parte dall’identificazione del nemico, anche in questo molto renziano: «Quattro barboni con quattro petardi le hanno provate tutte per non far riempire questa piazza». Ce l’ha con quelli del movimento, li chiama «zecche» rubando il tempo a Giorgia Meloni. Per il leghismo indipendentista delle origini appena un omaggio, quando spiega che preferisce parlare di «Italie» per rispettare le differenti identità regionali. Il cuore è la vecchia retorica delle partite iva nel frattempo – per la crisi – diventate «produttori in difficoltà» o solo «lavoratori» da contrapporre ai «mantenuti e parassiti», innanzitutto immigrati. E poi tutto il campionario del Tea party, dal rifiuto delle tasse all’isolazionismo. E «scommettiamo sull’uomo, il cittadino ha sempre ragione e lo stato sempre torto». Con un po’ di croci celtiche attorno.
Andando via incrociamo un gruppo lombardo che torna ai pullman (andata e ritorno 70 euro, ma per quelli del sud era tutto gratis). Sono fermi in piazza di Spagna alla fontana del Bernini per un selfie con il marmo scheggiato dai tifosi del Feyenoord. E per un ultimo pensiero agli olandesi: «Barbari».