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I pirati stanno assaltando la fortezza della conoscenza scientifica. Non c’è politico o funzionario europeo che si rispetti che non si riempia la bocca sull’importanza di creare società basate sulla conoscenza. Ma fra le buone intenzioni e la realtà si staglia una montagna di riviste scientifiche a pagamento: la condivisione dei risultati su cui in teoria si basa la scienza coinvolge quindi solo chi se lo può permettere.

Questo modello di riviste scientifiche, di proprietà di colossi editoriali internazionali come Elsevier (che pubblica per esempio Science) o Springer ha cominciato a scricchiolare qualche anno fa, con la nascita delle prime riviste scientifiche ad accesso libero (open-access). Il tradizionale meccanismo di funzionamento delle riviste scientifiche è che una volta che la rivista accetta la ricerca che si vuole pubblicare – e di norma questo avviene dopo un processo di peer review, ossia di revisione da parte di altri scienziati anonimi – i ricercatori pagano una tassa, e la rivista si incarica di pubblicare l’articolo. Le riviste poi vengono acquistate a caro prezzo da biblioteche di università e centri di ricerca e attraverso queste ultime, gli altri ricercatori possono accedervi. Le riviste open access, invece, hanno cambiato l’approccio: chi pubblica paga di più, ma poi la rivista è a disposizione di tutti online.

La filosofia open access negli ultimi anni ha cominciato a imporsi anche a livello politico. Il problema, infatti, è che in un certo senso i cittadini pagano tre volte per la ricerca. Per pagare chi la fa, per pagare la sua pubblicazione, e di nuovo per potervi accedere. «Paghi per leggere la ricerca che finanzi», come ha efficacemente sintetizzato qualche giorno fa la rivista Wired. È per questo che i programmi finanziati da Horizon2020, il programma quadro europeo di finanziamento della ricerca fino al 2020, obbligano i ricercatori a pubblicare su giornali open access (almeno a partire da un certo momento).

L’irruzione di tutta una batteria di riviste aperte da una parte e la pressione politica dall’altra hanno costretto le riviste tradizionali a cominciare a rivedere il loro modello e, per esempio, ormai tutte le riviste «liberano» dopo qualche mese gli articoli e permettono ai ricercatori di anticipare la «liberazione» a cambio di un pagamento extra.

Ma tutto questo sistema in realtà è destinato a crollare di fronte all’assalto di Sci-Hub, il portale pirata amico dei ricercatori e nemico dei colossi editoriali. Creato nel 2011 dalla neuroscienziata kazaka, Alexandra Elbakyan quando era una dottoranda di 22 anni, Sci-Hub è per la scienza quello che Napster fu per la musica. Con la differenza che nel caso della scienza, i ricercatori non ricevono nulla dagli editori e hanno solo da perdere se la loro scienza è più inaccessibile. E infatti Sci-Hub funziona grazie al fatto che sono proprio molti ricercatori a passare copie pirata degli articoli o chiavi di accesso alle riviste scientifiche. Il fenomeno ha iniziato a preoccupare giganti come Elsevier, che infatti l’ha denunciato l’anno scorso. Ma la sentenza del giudice americano che gli ha dato ragione (e per la quale rischia il carcere) non si applica in Russia dove hanno sede i server del portale.

Proprio ieri Science ha pubblicato un bellissimo articolo del giornalista scientifico John Bohannon che, con l’aiuto della sua creatrice, ha analizzato numeri e dati del portale pirata. E conclude che l’andamento è in aumento. Il portale ospita più di 50 milioni di articoli; solo il 4.3% delle richieste rimane inevaso. Riceve ogni giorno 200mila richieste da tutto il mondo – e non solo dai paesi più poveri. Il che implica meno del 5% delle vendite «legali». E che molte persone usano Sci-Hub perché semplicemente è molto più semplice, rapido ed efficiente per accedere agli articoli, soprattutto quelli più vecchi. Senza farraginosi meccanismi di protezione e di password.

Come per la musica, e per ragioni ancora più forti, la pirateria scientifica non si fermerà. La stessa Elbakyan conferma che esistono già varie copie mirror del portale. Si tratterà di trovare il giusto equilibrio fra i bilanci degli editori e i soldi pubblici che vengono spesi in tutto il mondo la pubblicazione della ricerca.