Di Pasquale Coccia

Finiti i mondiali che hanno sancito la supremazia della Merkel- Germania, contrariamente alle aspettative che dovevano officiare quella di Dilma- Brasile, resta da capire quanto inciderà la sconfitta sulla rielezione di Dilma Ruosseff e quanto la Merkel capitalizzerà questa vittoria per “germanizzare” l’Europa con il rigore. Non è comparsa sulla scena della finale la Kirchner, ha preferito non correre rischi e starsene nella sua casa di villeggiatura in Patagonia, visto che l’Argentina è a rischio default. I campionati del mondo disputatisi in Brasile, a parte la Germania e l’Olanda sul fronte europeo, hanno visto una sorprendente avanzata del calcio latinoamericano, Messico, Uruguay, Cile, Colombia, Costarica e l’Argentina in finale, e se non ai mondiali di calcio che si disputeranno nel 2018 in Russia, forse a quelli che si svolgeranno nel 2022 in Qatar vedremo affermarsi una squadra considerata di seconda fascia dell’America Latina calcistica. Mettendo in second’ordine l’estetica del calcio latinoamericano, che tanto ha ispirato i cantori del fùtbol, e correndo il rischio di essere considerati tra quelli che la buttano sempre in politica, un libro appena uscito, Calcio e dittature. Una storia sudamericana (euro 18,50 Sedizioni) di Sergio Giuntini ci ricorda il rapporto che vi è stato tra le dittature di questo continente e il calcio, l’uso strumentale che vi hanno fatto i vari golpisti per consolidare il loro potere e attutire nell’opinione pubblica il dolore delle violenze e quello causato per le persone scomparse, i desparecidos. Sospeso tra dionisismo nietzchiano e l’oppio dei popoli di marxiana memoria, il calcio dell’America centrale e meridionale si è incarnato in molteplici modelli identitari ed eventi tragici. La fitta rete di generali golpisti, sorta all’ombra dei latifondisti dell’America Latina e delle multinazionali americane, si è servita molto del calcio, come di nessun altro sport, a differenza di Mussolini e Hitler, che avevano programmato ad ampio raggio una “sportivizzazione” delle masse attraverso cui far passare il modello dell’uomo nuovo fascista e nazista. A ricordarci lo stretto legame tra dittature e calcio nel Sudmerica nel corso del Novecento è Eduardo Galeano, che nel suo libro Splendori e miserie del gioco del calcio scrive:” Il calcio è la patria, il potere è il calcio: “Io sono la patria dicevano quelle dittature militari… Il calcio è il popolo “Io sono il popolo” dicevano quelle dittature militari”. Sergio Giuntini ha il merito di far riferimento ai fatti per dimostrare il rapporto stretto che vi è stato tra il calcio e la storia delle dittature del Cile, Argentina, Brasile, Uruguay, Bolivia, Paraguay, Salvador e Guatemala. Tra il Salvador e l’Honduras, entrambi retti da dittature militari, vi fu nel 1969 una guerra durata sei giorni per una questione di confini, che provocò seimila vittime, preceduta da due incontri calcistici tra le nazionali dei due paesi per la qualificazione ai mondali in Messico nel 1970, vicenda egregiamente raccontata da Kapuscinski in La prima guerra del football e altre storie (Feltrinelli). Ci ricorda Giuntini, il parallelo tra il Vil d’Hiv ( il Velodromo d’Inverno) di Parigi, utilizzato dal governo collaborazionista di Vichy, che tra il 16 e il 17 luglio del 1942 si popolò di 3031 uomini, 5802 donne e 4051 bambini ebrei e l’Estadio National di Santiago del Cile trasformato in lager a cielo aperto dopo il sanguinario colpo di stato di Augusto Pinochet dell’11 settembre del 1973, uno “stadio che deve assorbire il “disordine” “l’entropia” procurate dal governo di Unidad Popular di Salvador Allende”. In quello stesso stadio nel 1976 la squadra azzurra di tennis guidata da Panatta conquisterà la Davis, e Giuntini ricostruisce con attenta documentazione la campagna di boicottaggio che vide la sinistra, e in particolare il manifesto, protagonista di una vasta mobilitazione politico-sportiva contro il regime sanguinario di Pinochet. Non mancano puntuali resoconti delle mobilitazioni in vari paesi europei che vi furono a favore del boicottaggio dei mondiali in Argentina del 1978, Olanda, Germania, Svezia, e Francia, in quest’ultimo la mobilitazione più massiccia che vide coinvolto anche il quotidiano Le Monde che ospitò un ampio dibattito sulle sue colonne. Alcuni calciatori simbolo delle nazionali del Sudamerica che primeggiavano nel calcio, furono compiacenti con i regimi dittatoriali e negarono qualsiasi violenza, come dimostra l’intervista rilasciata durante il regime dittatoriale di Emilio Medici alla giornalista Amalia Babhran da Pelè:” E in Brasile come va? Che ne dite della dittatura del vostro Paese?” o’ Rey risponde: ”Dittatura? Il Brasile è un Paese liberale, è il Paese della felicità”. Non da meno Omar Sivori, campione che militò nelle file della Juventus e del Napoli, che interpellato da Gian Paolo Ormezzano sulla questione dei desaparecidos, alla vigilia dei mondiali in Argentina rispondeva:” Oh, le stronzate che scrivete in Italia sulla repressione che sarebbe in atto qui”. In occasione del mundial in Argentina del 1978, Amnesty International lanciò un appello che denunciava le torture e violava i diritti fondamentali dell’uomo da parte del regime di Videla, e fu sottoscritto dal capitano della Roma Agostino di Bartolomei, dai calciatori del Milan Bet, Buriani, Maldera, Sabadini e dall’allenatore Nereo Rocco. Erano altri tempi.