L’importante invito di Norma Rangeri ad una discussione libera e schietta su un’altra sinistra possibile reclama implicitamente una correlata, radicale riflessione su un’altra Europa possibile (anche se – come ella dice – all’ordine del giorno non ci fosse la rivoluzione, ma «un’idea di riformismo di sinistra in grado di persuadere milioni di persone»). Ebbene, l’appello di Marco Revelli e Argiris Panagopulos a costruire «un soggetto politico dichiaratamente antiliberista dotato della forza per competere per il governo del paese in concorrenza con gli altri poli politici» non mi pare si faccia pienamente carico di questa esigenza di riflessione radicale.

Tale riflessione non può non prendere le mosse dal carattere drammatico e sconcertante della vicenda greca. A ben guardare, Syriza, Tsipras, il popolo greco, vivendolo sulla propria pelle, hanno disvelato il carattere ferocemente totalitario dell’Unione Europea, il suo configurarsi come una vera e propria «gabbia d’ acciaio» (come è stato detto), rispetto alla quale l’impotenza del governo greco, comunque la si declini, commuove e fa sgomento. Ciò, da un lato, pone l’esigenza di un processo di costruzione di una forte sinistra euromediterranea, dall’altro reclama la necessità di ri-pensare in radice la forma-governo nel tempo storico in cui l’unica forma che s’impone ineluttabilmente è invece quella della governance.

Per inciso: se l’ordine dei problemi è questo, mi paiono insufficienti, troppo al di qua di tali problemi, alcuni passaggi ‘solari’, scontati, come, ad esempio, la critica («mai più!») ad una sinistra frutto di aggregazioni pattizie e politicistiche del passato (dall’Arcobaleno a Rivoluzione civile ecc); o come l’adozione di formule quali sinistra governativa o di governo, che, se avevano (o hanno) un senso tutto polemico-ideologico nel linguaggio vendoliano e di Sel per designare la distanza da una sinistra testimoniale, minoritaria, di opposizione ecc. ecc., fuori di quel linguaggio risultano futilmente prive di consistenza in relazione alla complessità inedita del problema del governo all’interno della gabbia d’acciaio europea, e in relazione – vorrei dire più in generale – a quella che Pierre Dardot e Christian Laval chiamano la «nuova ragione del mondo», cioè l’attuale razionalità neo-liberista, dotata di una forza, di una pervasività bio-politica (cioè di governo profondo delle vite), e, per questa via, capace di reprimere, di contrastare in radice la possibilità stessa della costituzione politica della soggettività, dei soggetti dell’antagonismo e del conflitto.

Un altro accenno: una discussione sul problema teorico-politico del governo oggi (anch’essa utile, a mio avviso, al percorso di riflessione e di proposte promosso dal manifesto e dalla sua direttora) dovrebbe misurarsi con la dialettica alto-basso, in cui tende a “trasfigurarsi” oggi la lotta di classe, e con quella che Laclau chiama la «ragione populista» (e che trova in America Latina delle peculiarissime declinazioni). Come è stato osservato (Benedetto Vecchi, il manifesto, 24 luglio 2015), Podemos in Spagna si pone il compito di «inventare politicamente il popolo» attraverso un dispositivo del governo, capace di svolgere una funzione “universale”.

Insomma, sì, c’è vita a sinistra, soprattutto se la sinistra, lottando contro la condanna alla frammentazione, contribuendo a costruire processi e movimenti di lotta, vertenze, conflitti, rende almeno visibile un’alternativa alla gabbia del governo inteso come pura condanna a un governo nella gabbia.