«Se me ne fossi disinteressato come i miei predecessori al governo della Puglia o come tanti altri colleghi di altre regioni e se non avessi messo al centro della mia azione di governo la lotta ambientale, probabilmente oggi non mi troverei invischiato in questa paradossale vicenda giudiziaria». E’ il commento amaro di Nichi Vendola, leader di Sel ed ex governatore della Puglia, a poche ore dalla decisione con cui il gup di Taranto Vilma Gilli ha deciso di rinviare a giudizio anch’egli nell’inchiesta sul disastro ambientale causato dall’Ilva guidata dal gruppo Riva.

Vendola, ha rimpianti o rimorsi? Rifarebbe tutto quello che ha fatto in dieci anni di governo?

«Assolutamente, sì. Anzi, speravo in un’assoluzione piena, visto che durante l’udienza preliminare sono stati smontati tutti i punti del teorema accusatorio sulla presunta concussione aggravata di cui mi sarei macchiato».

E invece, insieme ad altri 46, dal prossimo 20 ottobre figurerà tra gli imputati in quello che potrebbe diventare il più importante processo nella storia giudiziaria italiana in materia di inquinamento ambientale. Sembra passato un secolo da quando, prima nel 2005 e poi nel 2010, i tarantini lo portarono e lo confermarono alla guida della Regione. Un feeling iniziato nel migliore dei modi, per poi scemare col passare degli anni sino a trasformarsi in ostilità politica.

Eppure il rapporto con l’Ilva iniziò sul tema del lavoro.

«Proprio così. Riuscimmo a far aprire il primo centro Inail all’interno della fabbrica, per poi approdare sul terreno dell’inquinamento attraverso la prima legge in Italia sul campionamento della diossina nel 2008 e il rafforzamento dell’Arpa Puglia che all’epoca era soltanto una scatola vuota. E’ grazie a quella legge se sono iniziati i primi campionamenti sui camini dell’Ilva: nei primi 50 anni di vita di quell’azienda non si era mai visto nulla del genere».

Il primo di una serie di provvedimenti che però non sono bastati.

«Eppure abbiamo anche realizzato la legge regionale sul contenimento del benzo(a)pirene nel febbraio del 2011, dopo che con il decreto di ferragosto del 2010 il governo Berlusconi spostò in avanti di tre anni l’entrata in vigore della direttiva europea sulla qualità dell’aria. E infine la legge sulla valutazione del danno sanitario approvata nel 2012».

Eppure l’accusano di aver fatto pressioni sull’Arpa e di aver così consentito all’Ilva di proseguire impunita.

«E io, dunque, nonostante tutto questo lavoro, avrei dovuto fermare l’Arpa Puglia facendo pressioni sul direttore Assennato? Tra l’altro, a sostegno di questa tesi viene portata una presunta delibera che io avrei fatto approvare nel giugno 2010, peccato che quella delibera non sia mai esistita».

Proprio su Assennato, anch’egli rinviato a giudizio, Vendola ha parole di grande stima e rispetto: «Un uomo conosciuto come uno scienziato di fama internazionale, rigoroso, incorruttibile, che si è sempre rifiutato di lavorare per i privati ed ha servito con onore lo pubblica amministrazione».

Eppure, più di qualcosa non è andato per il verso giusto. Oggi Vendola viene visto come il «traditore» di Taranto.

«Non ho ancora capito di cosa sono accusato. E’ paradossale che a finire sul banco degli imputati sia stato il mio governo, che ha combattuto contro un gigante come Riva e non quelli precedenti e tutti quei politici, giornalisti e componenti delle parti sociali che erano a libro paga del gruppo lombardo».

Vendola, ricorda il momento in cui si è spezzato il filo che lo legava a Taranto?

«Sì, quando presi posizione contraria al referendum sulla chiusura dell’Ilva nell’aprile 2013: il reato di cui sono accusato è quello di aver provato a contemperare il rispetto dei diritti al lavoro, alla salute e alla tutela dell’ambiente. Siamo sempre stati lasciati soli nella nostra azione di governo, dalla politica locale e nazionale, dai sindacati, da Confindustria e tanti altri».

Ha remore verso la magistratura tarantina?

«Non ho alcuna intenzione di giudicare l’operato della magistratura verso la quale continuo a nutrire il massimo rispetto istituzionale».

E sui rapporti personali avuti con i Riva e il management dell’Ilva?

«Il tutto avveniva all’interno dell’interlocuzione necessaria tra un governatore e uno dei gruppi più importanti a livello internazionale».

Sa che c’è chi ha esultato per il suo rinvio a giudizio, specie a Taranto in quella che un tempo era la parte con la quale interloquiva?

«Taranto ha bisogno non soltanto di una bonifica ambientale: sono tanti i veleni che ammorbano quella città».