Dopo il mercato dei mutui, quello del credito al consumo e immobiliare, il governo Renzi conferma di volere crearne uno nuovo: il «mercato degli anticipi pensionistici» coinvolgendo governo, Inps, banche, assicurazioni. Si vuole cioè creare una domanda, che oggi non esiste, tra coloro che intendono o sono costretti ad andare in pensione in maniera anticipata. Secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio,Tommaso Nannicini – l’ideatore di questa operazione – sarebbero tre le categorie di lavoratori coinvolti: il dipendente pubblico, chi ha perso il lavoro ha oltre 50 anni e non i requisiti di uscita, o gli over 50 licenziati dalle aziende per «ristrutturazione dell’organico». Su questi profili il governo ieri ha confermato, nel corso di un incontro con i sindacati, la volontà di creare una nuova offerta per le banche e le assicurazioni. Per assicurarsi un diritto, nel momento in cui la riforma Fornero mostra tutti i suoi limiti, i lavoratori dovranno indebitarsi. Al momento il governo non parla più di penalizzazione.

Quello che c’è di nuovo è che il governo non intende modificare la Fornero, ma vuole introdurre la «flessibilità in uscita» facendola pagare ai lavoratori attraverso un nuovo pacchetto di strumenti finanziari. L’ipotesi a cui si starebbe lavorando consiste nell’anticipo finanziario della pensione netta per gli anni che mancano alle pensioni di vecchiaia. Nell’Ape – questo l’esotico acronimo scelto dal governo – non sarebbe prevista una penalizzazione ai danni dell’assegno, ma rate fino a 20 anni che il lavoratore dovrà versare con gli interessi. Secondo l’ipotesi dell’esecutivo, l’Inps dovrebbe essere il garante o l’intermediario di questa finanziarizzazione della pensione con banche e assicurazioni. A loro volta, queste ultime dovrebbero anticipare la somma che i lavoratori restituiranno nel tempo. In questo modo sarebbe garantita la copertura assicurativa e una detrazione fiscale sulla parte del capitale anticipato per alcuni soggetti più deboli. «Il coinvolgimento degli istituti finanziari delle banche e delle assicurazioni – avrebbe spiegato Nannicini ai sindacati – non viene fatto per una questione ideologica ma nasce esclusivamente dal rispetto dei vincoli di bilancio visto che è di 10 miliardi la stima dei costi previsti per la flessibilità in uscita». Dall’ideologia della finanza all’ideologia del vincolo di bilancio, il passo è breve. Probabilmente, sono la stessa cosa. Il progetto viene presentato come una «normale» operazione di sostenibilità finanziaria, ai danni di chi vuole anticipare la pensione anticipata.

Agli «sfigati» – così Renzi ha definito i lavoratori che si sono visti innalzare l’età pensionabile in corsa dal governo Monti – toccherà probabilmente rinunciare fino a circa mille euro lordi di reddito all’anno per rientrare nel piano che sta organizzando il governo Renzi. La stima è stata avanzata dalla Uil in un recente studio: il lavoratore perderebbe il 6,9% della pensione pari a un importo mensile netto in meno di 898 euro ogni anno. Questa cifra andrà moltiplicata per ogni anno di anticipo richiesto, e accordato. Quindi tre anni di pensione anticipata potrebbe arrivare a costare 2.694 euro netti. In questa situazione si troveranno i nati negli anni 51, 52, 53 che dovranno andare in pensione a 66 anni.

«L’Inps – sostiene Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera – secondo il Governo, sarà il front office dell’anticipo pensionistico: noi vorremmo che fosse anche »l’ufficiale pagatore« della pensione ed il garante, insieme allo Stato, dell’intera operazione. Un secondo punto è costituito dall’individuazione dei soggetti deboli per i quali la flessibilità della pensione è una necessità prima che una scelta: disoccupati senza ammortizzatori sociali, precoci, addetti a lavori usuranti ed invalidi. Si tratta di persone che non possono essere penalizzate». «La misura di flessibilità che il Governo adotterà non potrà riferisci ad alcune platee anagrafiche (’51, ’52, ’53!!), ma essere un intervento strutturale». «Ora si tratta di inserire il prestito ipotizzato in un quadro di possibili accordi tra imprese e lavoratori anziani in modo che la tutela di quest’ultimi risulti ancor maggiore» ha aggiunto Maurizio Sacconi, presidente della commissione lavoro al Senato. «In un Paese che vede il peggiore calo di natalità dall’unità d’Italia ad oggi, un calo di residenti che non si registrava da 90 anni, il Pd sceglie di fare pagare l’iniquità della Fornero ai cittadini» osserva, criticamente, Giovanna Martelli (Sinistra Italiana).

Per tutti gli altri è buio assoluto. Nell’incontro di ieri, definito dal ministro del lavoro Giuliano Poletti «positivo e di lavoro importante, non è stato fatto cenno a quella che il presidente dell’Inps Tito Boeri ha definito la «generazione anni 80»: cioè coloro che hanno iniziato a lavorare dopo la riforma della previdenza in senso contributivo. La riforma Fornero penalizza gravemente tutti i lavoratorui precari e intermittenti che non hanno «carriere professionali» solide e continuative. Queste persone, che presto saranno la maggioranza della forza-lavoro attiva in Italia, potranno andare in pensione anticipata solo a condizione di avere un reddito determinato, il triplo dell’attuale assegno sociale: 448 euro al mese. è noto che il salario medio non è molto più alto di questa cifra paurosamente bassa. Tanto più sarà basso questo salario in futuro, più a lungo questo quinto stato sarà costretto a lavorare. I nati negli anni Ottanta non andranno in pensione a 63 anni e 7 mesi, ma a 76 e 4 mesi: lavoreranno 13 anni in più. Lo scenario è insostenibile e prefigura l’adozione di strumenti finanziari ancora più invasivi rispetto a quelli di cui si parla oggi.

«C’è qualche novità positiva – ha detto la segretaria della Cgil Susanna Camusso – abbiamo bisogno di un quadro di insieme e abbiamo ribadito che il nostro obiettivo è andare ad una modifica effettiva della legge Fornero». Il 23 e il 28 giugno governo e sindacati affronteranno anche i temi della rivalutazione delle pensioni e della no tax area.