Alle dodici in punto il reggimento presidenziale scorta Vladimir Putin al palazzo del Cremlino. La pioggia è battente, là fuori i volti sono scuri. Alla tv passano le immagini degli uomini a cavallo, dei cannoni preparati di fronte alle mura, dei corridoi che conducono alla Sala di Sant’Andrea. Qualche minuto e Putin poggia la mano destra sulla Costituzione per giurare ancora fedeltà alla nazione. È il quinto mandato in venticinque anni.

QUANDO HA assunto la guida della Russia, nel 2000, il paese affrontava una sanguinosa guerra interna, in Cecenia. Oggi ha decine di decine e decine di migliaia di soldati sul territorio dell’Ucraina e si piega ogni giorno di più all’idea di un conflitto globale. Eppure al Cremlino è ammassata una enclave di senatori, accademici, industriali, reduci di guerra, pope, mufti, con un certo numero di ambasciatori stranieri. Prendono parte a una festa.

Nella sala si vedono l’ex presidente ed ex premier Dmitri Medvedev, passato negli ultimi due anni dalla dottrina liberale ai proclami più crudi contro il culto dell’occidente; il primo ministro, Mikhail Mishustin, in corsa per il secondo mandato alla guida del governo; il governatore della Cecenia, Ramzan Kadyrov, che molti in Europa avevano dato in fin di vita poche settimane fa, ma a quanto sembra se la passa ancora bene; e persino un cantante rap, il nome d’arte è Shaman, abito scuro e capelli color platino, a cui l’invasione sta portando enorme popolarità. Nelle stesse stanze, lo scorso dicembre, Putin aveva ricevuto la richiesta per nulla spontanea di partecipare alle presidenziali che ha vinto, poi, a marzo in una elezione senza rivali. «Abbiamo ancora bisogno di lei», gli aveva detto un veterano dell’Ucraina ripreso puntualmente dalla tv di stato. «Non posso nascondervi di avere avuto altri pensieri, ma adesso è il momento di prendere una decisione», la risposta di Putin. Il Cremlino pare diventato, insomma, il grande filtro tra il presidente e il paese che governa. La cerchia a palazzo è numerosa. Farne parte è per molti un buon affare.

IL PASSAGGIO più stravagante e forse più significativo dell’intera cerimonia avviene davanti al patriarca ortodosso, Kirill, che si rivolge a Putin chiamandolo «sua altezza», paragona il presidente ad Alexander Nevskij, il sovrano medievale che sconfisse il Regno di Svezia, e durante la benedizione dice: «A lei spettano decisioni formidabili che comporteranno anche vittime… Pregherò perché il suo potere duri sino alla fine del secolo». Sul rapporto per molti versi ambiguo con i valori della tradizione che la Chiesa difende, Putin ha costruito buona parte della sua posticcia ideologia. È un processo che la giornalista Marta Allevato ha decritto con cura nel suo saggio La Russia moralizzatrice. Proprio a partire dai primi anni Duemila, scrive Allevato, «ex agenti del Kgb e funzionari del Partito che, nel secolo appena concluso, avevano imposto l’ateismo al paese, avrebbero acceso candele, pregato a Pasqua a Natale a favore di telecamere, inginocchiandosi davanti a reliquie e icone, in cerca di consensi e legittimazione».

NON SI È TRATTATO, come si capisce, di una sincera conversione: «Farsi discepoli della fede ortodossa – spiega sempre Allevato – sarebbe diventato un trampolino per fare carriera, non sono nella politica. Nel teatro, che dipende quasi totalmente dai finanziamenti statali, andare alla divina liturgia, come è chiamata la liturgia eucaristica del rito bizantino, e preferibilmente in una determinata parrocchia per farsi vedere da chi conta, divenne ben presto pratica diffusa».

Un altro pilastro della dottrina putiniana è diventato nel corso degli anni la rivalità con l’occidente. Dalla stretta di mano con George W. Bush e Silvio Berlusconi al vertice Nato a Pratica di Mare alla minaccia di una guerra atomica. «Noi non siamo contrario al dialogo – ha detto il presidente nel discorso d’insediamento – ma spetta a loro scegliere tra i piani per limitare il nostro paese e la cooperazione per la pace».

LA CERIMONIA arriva al culmine delle tensioni con i governi europei, in particolare con Francia e Gran Bretagna, i cui ambasciatori sono stati convocati giorni fa al ministero degli esteri a Mosca per le dichiarazioni di Macron sulla possibilità di inviare soldati in Ucraina e di Cameron sull’impiego di armi della Nato per colpire in territorio russo. Putin ha deciso di rispondere salendo un altro gradino dell’escalation nucleare. Ieri l’esercito bielorusso ha compiuto esercitazioni con missili Iskander e caccia Sukhoi nello scenario di un attacco con testate atomiche tattiche che proprio la Russia ha dispiegato mesi fa sul territorio degli alleati. Altre manovre attese nei prossimi giorni nel distretto sud, al confine ucraino.