La paura dei cloni è antecedente al romanzo La possibilità di un’isola di Michel Houellebecq. La ripetizione dell’uguale, l’idiosincrasia per la differenza, l’erranza danno la percezione del disumano, della catena di montaggio che alienava tanti nostri progenitori costretti a riprodurre l’identico, sempre allo stesso modo. È questo lo sfondo dove collocare il lavoro di ricerca portato avanti da Andrea Segrè, docente di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna), fondatore di «Last Minute Market», capofila europeo nella lotta allo spreco, ricercatore (presiede il comitato scientifico del piano nazionale di prevenzione rifiuti) e autore di molti saggi su come modificare il rapporto delle persone con il ciboche ha dedicato la sua vita a «rivoluzionare» il panorama dell’alimentazione, dello spreco, dell’agricoltura.

L’incontro, avvenuto a Udine, in occasione del Festival «Vicino/Lontano», ha avuto come centro il suo ultimo libro – L’oro nel piatto: valore e valori del cibo, Einaudi – dove la dimensione pedagogica dell’alimentazione ha un ruolo centrale, a partire dall’invito a privilegiare la frutta rispetto ad altri elementi. «Io parto dalla frutta – afferma Segré – e dalla sua “scomodità” spiegando che la devi sbucciare e quindi ti puoi anche sporcare, hai bisogno del coltello, hai bisogno anche di acqua per lavarla e per lavarti anche le mani e questa è la dimostrazione che, per mangiare bene, ci vuole un certo impegno. Dunque tutto quello che ci porta a disimpegnarci, come avere la frutta e la verdura già pronta, tagliata e lavata, e potrei andare avanti con molti altri esempi, dipende dall’industrializzazione del cibo che poi ha portato a quella che oggi si chiama “quarta gamma”, anche se non si capisce poi quali siano la terza, la seconda e la prima. Ma se riconosciamo alla frutta, alla verdura o anche alla carne un certo valore nutritivo per la nostra dieta, ci dobbiamo impegnare e quindi attrezzarci: prendere un coltello e con quello andare a cercarci un posto che sia un mondo dove possiamo avere tutto quello che ci serve per consumare, o per fruire, come dico io, di tutto quello che ci serve per mangiare bene. Purtroppo nel sistema in cui ci troviamo prevale il dato della scomodità. Lo si vede bene al ristorante dove sempre meno gente chiede la frutta dopo la pietanza.. Dico questo per fare un esempio molto concreto del nostro stile di vita e della dieta che poi subiamo».

Un altro argomento sul quale Segré si dilunga è il potenziale potere dei consumatori di scardinare gli quilibri di potere del mercato. La realtà sermbra confermare questa possibilità. Ad esempio, il lancio della iPhone 5S della Apple è stato seguito da una paerdita del valore delle azioni della società informatica, spiegato dal fatto che era una novità che considerata insoddisfacente dai «clienti». Se guardiamo al cibo,il potere dei consumatori ha finora determinato nicchie di mercato per cibi di qualità e un mass market di cibo spazzatura.

«Negli anni – continua Segré- mi sono spesso occupato di “consumo critico” che deve fare anche “massa critica”. C’è sì il biologico, che è un fenomeno relativamente circoscritto, magari in crescita,a causa dei costi elevati. Tutto questo fa parte del consumo critico, ma se non fai massa critica, usando un termine della fisica, questa piccola nicchia non cambia il mercato; se vige la legge della domanda e dell’offerta sarà necessario che quella domanda la orienti. Sui libri di economia c’è scritto che “il consumatore è sovrano”, sennonché questa sovranità l’abbiamo delegata a qualcun altro: il marketing, la pubblicità, la tivù indicano una pista da seguire. Possiamo certo definirci “consumatori critici” che hanno a cuore la produzione biologica, la sostenibilità, la salute, ma è il termine consumo che è sbagliato, perché consumare vuol dire “distruggere”. Inoltre il consumo prevede uno spreco. Per questo preferisco il termine “fruitore”. Fruire, come spiego meglio nel libro, richiama il diritto, il godimento del bene. Il percorso da compiere è dunque culturale perché quando prendiamo il carrello dobbiamo pensare che il prodotto non va distrutto: non va né sprecato né consumato male perché quando lo distruggi stai distruggendo un pezzo di natura; hai usato risorse naturali per produrre un alimento, la terra, il suolo, l’acqua, l’energia sono risorse naturali limitate, che si rinnovano nel tempo, e in quel tempo c’è la sostenibilità che significa durare nel tempo. Quindi non esorto ad andare lenti o veloci, ognuno ha un suo ritmo, anche se quello medio è l’ideale, ma è necessario un passaggio culturale che ti consenta di capire che il cibo che hai davanti è un bene, non una merce, e un bene che deve durare nel tempo poiché dentro questo bene c’è tanto, dalla natura all’identità alla storia alla relazione, ed è una prospettiva completamente diversa. Si tratta quindi di incominciare sostituendo un termine con un altro».