Non può non colpire l’immagine dei ragazzi divenuti noti a Hong Kong grazie alle proteste di piazza e da ieri eletti nel mini parlamento locale dell’ex colonia britannica. Non può non colpire, soprattutto, il contrasto con i notabili locali pro Pechino o con gli stessi governanti cinesi: una differenza generazionale abissale, già anticipata da quelle proteste del 2014 che avevano segnalato qualcosa di nuovo nel panorama politico dell’ex colonia.

Si tratta di giovani, definiti radicali e indipendentisti, alcuni dei quali capaci di distinguersi durante le proteste contro l’ingerenza cinese nelle decisioni politiche di Hong Kong, divenute famose come la «Umbrella Revolution» durante il 2014.

La loro elezione nell’organo legislativo locale è innanzitutto un risultato storico. Poi – sicuramente – muterà per sempre un certo approccio tanto della popolazione di Hong Kong rispetto alla politica, quanto di Pechino nei confronti della relazione con la città.

Niente sarà come prima, il futuro riserverà sicuramente qualche sorpresa. La loro elezione, infatti, arriva al termine di una tornata elettorale dall’affluenza massiccia, la più grande nella storia del voto nell’isola, quasi il 60 per cento. Questi ragazzi eletti nel parlamento potranno esercitare diritto di veto in un’assemblea ancora a maggioranza filo cinese, essendo «eleggibili» solo una parte dei membri dell’organo legislativo.

E a marzo 2017 a Hong Kong si eleggerà il chief minister, il «primo ministro» della città: si tratterà di un voto fondamentale nel disegno futuro delle relazioni tra Cina e Hong Kong. Chi sono dunque i «kids on the block» – come li ha chiamati ieri il Guardian – neo eletti nel parlamento dell’ex colonia? Alcuni hanno davvero delle storie particolari e raccontano di una città in profonda evoluzione. Uno è Nathan Law, 23 anni, della formazione politica Demosisto. Lui è stato uno dei leader della rivoluzione degli ombrelli, uno dei simboli di quei 79 giorni di occupazione delle strade che aveva trascinato gran parte della popolazione in uno scontro durissimo contro la Cina. Forse il «simbolo» di quelle giornate. Il secondo è Sixtus «Baggio» Leung, 30 anni, di Youngspiration; si chiama proprio così, «Baggio», in onore del calciatore italiano, il suo idolo sportivo.

La terza eletta in questa nuova onda è Yau Wai-ching, 25 anni, sempre di Youngspiration. Poi Cheng Chung-tai, 33 anni, di Civic Passion. E tra gli eletti anche Eddie Chu, di 38 anni, ambientalista che ha ottenuto il maggior numero di voti – 80.000 mila – e fautore di un programma elettorale che si propone di mettere in crisi, e probabilmente è la prima volta che accade a Hong Kong, la lobby immobiliare dell’isola. In totale i «localisti» hanno ottenuto 30 seggi, cambiando per sempre il volto politico della città. Ora sicuramente lo scontro con Pechino diventerà ancora più forte, perché ai «filocinesi» non sono più contrapposti i democratici, critici ma neanche troppo contro la Cina. Ora a dare filo da torcere al partito comunista di Pechino ci sono persone dichiaratamente indipendentiste e che hanno più volte espresso la volontà di mettere in difficoltà gli interessi cinesi sull’isola.

Pechino ad ora ha fatto finta di nulla; la stampa nazionale era concentrata sugli eventi del G20 ad Hangzhou e ha dato poco risalto alle elezioni di Hong Kong, salvo ribadire, in alcuni editoriali in lingua inglese, le poche possibilità per qualsivoglia ipotesi di indipendenza. Ma è chiaro che questo esito elettorale è un sintomo che Pechino non potrà sottovalutare: significa che la presenza cinese dovrà essere più circospetta, fermo restando che le forze finanziarie della città sono intimamente legate a Pechino.

Di sicuro però questi partiti, per la prima volta rappresentati in modo così forte nell’assemblea legislativa, pongono un problema alla cosiddetta teoria di «un paese due sistemi».