L’ultimo romanzo di Valentina Mira Dalla stessa parte mi troverai edito da Sem (pp. 256, euro 17) è stato selezionato per il premio Strega 2024: racconta le vicende avvenute in via Acca Larentia il 7 gennaio del 1978, quando tre militanti della destra neofascista vennero uccisi: due di loro mentre stavano andando a fare volantinaggio per un concerto, il terzo alcune ore dopo durante alcuni scontri con le forze dell’ordine. Ma il libro di Mira racconta soprattutto la storia di Mario Scrocca, ingiustamente arrestato per i primi due omicidi e che venne trovato morto impiccato in una cella del carcere di Regina Coeli.

Ancor prima dell’uscita del libro, e in occasione della pubblicazione di un suo estratto in anteprima, Mira – che si dichiara femminista e antifascista – è stata attaccata e accusata di revisionismo storico sulla vicenda di Acca Larentia da diversi esponenti di Fratelli d’Italia. Nel giro di poche ore le critiche si sono spostate però su un altro piano: un piano personale, a causa della sua passata collaborazione con un sito conservatore (Gli Italiani) sul quale ha pubblicato diversi articoli piuttosto allineati. In uno di questi parla ad esempio in modo positivo di Alain de Benoist, scrittore e fondatore della Nouvelle Droite e considerato da molti un neofascista.

Le critiche al suo libro sono iniziate ancor prima della sua pubblicazione. Ricostruiamo come sono andate le cose?
Molto semplice, e soprattutto verificabile: Dalla stessa parte mi troverai esce il 12 gennaio. L’attacco avviene una settimana prima da parte del Secolo d’Italia, prima che chiunque potesse leggerlo. L’Espresso aveva pubblicato in anteprima il capitolo in cui ricordo di quando, nel 2008, Meloni mise una corona di fiori sulla croce celtica di Acca Larentia. Non avevano letto il libro (non era uscito), eppure già lo definivano revisionista. Senza portare prove. Non volevano si toccasse Meloni. Il libro però finisce nella dozzina del Premio Strega. Diventa pericoloso solo per questo, e parte un attacco congiunto che non è ancora finito. Che il tutto sia strumentale e funzionale al mantenimento del potere si capisce dalla cronologia degli eventi.

Quali sono le accuse principali che le sono state rivolte?
A Otto e mezzo si sente chiaramente che Sechi non risponde alla mia domanda: Quali sarebbero le bugie che dico nel libro? Perché l’accusa principale è che sia un libro revisionista. Ora: che l’accusa venga dai fascisti conferma un certo impianto proiettivo di cui parlo nel libro. Sechi, comunque, non risponde. Non hanno niente di concreto da contestare al libro. Parlano di assenza di pietas per i morti: così non è. Ma capisco che per chi li definisce «martiri» e «camerati caduti» chi non si allinea alla loro santificazione è persona crudele contro cui è lecito essere crudeli. Ed ecco il succo del vittimismo che li rende carnefici, come scrivo nel libro.

Dopodiché gli attacchi si sono spostati su un piano personale e si è arrivati a parlare di una sua «repentina conversione» politica. Sia nel suo primo volume «X» (Fandango Libri) che nel suo ultimo romanzo accenna a questo suo passato di vicinanza con i gruppi neofascisti. Vuole raccontare in modo più esplicito qual è stato il suo percorso?
Quegli articoli li ho scritti io, e me ne vergogno così tanto che non li ho mai più riletti, non ci riesco. Il punto è proprio questo: quando parlo della pericolosità del fascismo lo faccio perché so di cosa parlo. E lo so non solo perché sono cresciuta nel quartiere di Acca Larentia, lo stesso di Stefano Delle Chiaie, dove il fascismo esiste ed è normalizzato. Lo so anche perché, come racconto nel mio libro, dopo lo stupro che ho subito la persona che ho incrociato nel mio cammino e che si è posta come mio salvatore era proprio un fascista. Alle cose che mi diceva ci credevo. Nel periodo in cui stavo con lui ho trovato lavoro nel call center di una casa editrice, il cui editore mi ha detto che mi avrebbe fatto raggiungere i due anni di collaborazione per ottenere il tesserino. Quei due anni li ho fatti e le cose che scrivevo in quel periodo erano puro frutto di propaganda «sovranista» (si dice così, no?). Dico che il fascismo è pericoloso proprio perché per me è folle che siano riusciti a intortare una persona come me che legge e che ha sempre letto tanto.

La relazione con quel narcisista e la mia credulità, nei fatti, complice sono il capitolo più duro della mia vita. Da scrittrice, trovavo interessante indagare il liminale oscuro che c’è in una donna che accetta la violenza in una relazione, ciò che non la rende «solo-vittima». E questo io nel libro lo dichiaro e lo indago. In fondo ringrazio chi ha tirato fuori l’ultimo pezzo del puzzle, anche perché è la conferma del fatto che il libro non l’hanno letto.

L’uscita di quei miei articoli non è uno scoop. Perché, proprio nel libro, provo a fare i conti per la prima volta con il mio essere stata in quegli anni un minuscolo «Eichmann»: «la banalità del male sono io», scrivo esplicitamente. E mi attribuisco, sempre nel libro, una frase anche più grave di quelle che sono state citate in questi giorni: quella che pronunciavano le forze dell’ordine durante le torture a Bolzaneto (frase antisemita, razzista e fascista). Questa è la situazione: non ho mai fatto mistero dei motivi per cui sono antifascista. Non è un antifascismo di posizionamento, il mio. È il frutto di un vero e proprio percorso di liberazione. Ora che si sta chiedendo a me sulla pubblica piazza, prestando il fianco ai fascisti, di rispondere del mio, si spera che le accuse di fascismo tornino ad avere i loro legittimi bersagli. Chiudo ringraziando chi, in questi giorni, ha scelto di stare davvero dalla stessa parte.