Lo scorso 2 aprile sono stati pubblicati nuovi dati sulla distruzione del sistema educativo a Gaza e in Cisgiordania. Secondo le stime del ministero dell’istruzione palestinese a Gaza, dal 7 ottobre almeno 6.050 studenti palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano e 10.219 feriti, dei quali 56 studenti uccisi e 329 feriti in Cisgiordania.

266 insegnanti e presidi e almeno 94 docenti universitari sono rimaste vittime degli attacchi israeliani a Gaza, dove 351 scuole governative e 65 gestite dall’agenzia delle Nazioni unite Unrwa sono state bombardate. Il 76% degli edifici scolastici e le dodici università di Gaza sono state distrutte, in un quadro in cui 620mila studenti della Striscia non hanno a oggi accesso ad alcuna forma di istruzione.

NELLE SCUOLE e le università italiane sono arrivati nelle scorse settimane i primi studenti evacuati o rifugiati da Gaza. Se il dibattito di queste settimane si è concentrato su una rappresentazione, sovente distorta, delle proteste registrate in numerosi atenei contro il sostegno del governo italiano all’attacco israeliano e sulla discussione sulle partnership tra atenei italiani e israeliani, assente è rimasto il tema degli studenti rifugiati da Gaza giunti sui banchi delle nostre scuole e università.

Si tratta di bambini e giovani appartenenti a famiglie arrivate attraverso evacuazioni per ragioni sanitarie, inseriti nel sistema di accoglienza e integrazione (Sai) o ancora in attesa e ospitati in strutture del terzo settore, spesso senza alcun sostegno finanziario e dotati di permessi di 90 giorni dal futuro incerto. Al momento non sono disponibili dati precisi, ma il loro numero è destinato a salire con l’arrivo di famiglie o madri con figli scappati da Gaza attraverso il pagamento di ingenti somme di denaro alla controversa agenzia egiziana Hala.

L’inserimento nel sistema scolastico costituisce un diritto fondamentale per questi bambini. Dal ministero dell’istruzione e del merito non sono giunte per ora direttive specifiche sulle misure per la loro accoglienza e integrazione, così come alcuna risorsa specifica per la mediazione linguistica e l’accompagnamento psicologico, in un contesto di stress post-traumatico, è stata a oggi stanziata.

Il ministero avrebbe esempi recenti da riproporre: è il caso delle Indicazioni operative in merito all’accoglienza scolastica, dei percorsi per l’inclusione di alunni e alunne provenienti dall’Ucraina, delle dotazioni straordinarie che il ministero ha adottato a partire dall’invasione russa nel febbraio 2022 per favorire il diritto all’educazione e all’istruzione degli studenti ucraini.

ANCHE per quanto riguarda la formazione universitaria, mancano linee guida chiare relativamente alla prosecuzione di partnership con le università a Gaza, al riconoscimento degli esami svolti in atenei della Striscia e alle misure urgenti per l’accoglienza, anche da parte delle aziende regionali per il diritto agli studi superiori, come l’erogazione di borse di studio, alloggi studenteschi e supporto psicologico. In recenti emergenze sono state stanziate risorse specifiche per il sostegno al diritto allo studio di studenti afghani e ucraini negli atenei italiani, e posizioni di visiting professorship per docenti universitari, che potrebbero essere riproposte per studenti e professori provenienti da Gaza.

Su tutte queste misure, il ministero dell’istruzione e del merito, il ministero dell’università e della ricerca, così come la Conferenza dei Rettori delle università italiane (Crui) dovrebbero concentrarsi al più presto, per garantire l’effettivo rispetto del diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione di studenti rifugiati nel nostro paese.

Coordinatrice Comitato per la libertà accademica, Società per gli Studi sul Medio Oriente