Dopo un negoziato fiume di oltre 16 ore, Parlamento europeo e Consiglio Ue hanno raggiunto un accordo sulla riforma della governance economica dell’Unione, in tempo utile perché le nuove regole si applichino già ai bilanci del prossimo anno. Una «riforma ambiziosa» l’ha definita la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che consente agli Stati membri di «investire nei loro asset, consolidando al tempo stesso le finanze pubbliche».

EPPURE L’AMBIZIONE originaria ha ceduto il passo alle richieste dei paesi “frugali”, Germania in testa, impedendo quel cambio di paradigma che la Commissione proponeva di imprimere al Patto di stabilità e crescita per archiviare la stagione dell’austerità. E a poco è valso il pressing del Parlamento europeo per una maggiore flessibilità: i 27 avevano infatti avvertito che il margine di manovra sarebbe stato quasi nullo dopo l’intesa faticosamente raggiunta alla riunione straordinaria dei ministri europei delle Finanze dello scorso 20 dicembre.

La redazione consiglia:
Rider, l’Ue: più semplice dimostrarsi subordinati

La riforma del Patto di stabilità, la cui applicazione è sospesa dal 2020 per dare modo agli Stati di assorbire gli choc della pandemia e della guerra in Ucraina, lascia invariati i principi fissati nel Trattato di Maastricht, ossia il mantenimento del deficit al di sotto del 3% del Pil e del debito al di sotto del 60%, ma introduce dei margini di flessibilità per il risanamento dei conti pubblici. Perno della riforma sono i cosiddetti piani di spesa a quattro anni, estendibili fino a sette, su cui i governi avranno autonomia, salvo che per il percorso di aggiustamento o “traiettoria tecnica” che verrà concordato con la Commissione con l’obiettivo di garantire la sostenibilità del debito. È previsto, poi, un arco temporale più ampio nel caso in cui vengano fatti investimenti e riforme.

RISPETTO ALL’IMPOSTAZIONE originaria della Commissione e nonostante la battaglia del Parlamento, è stato introdotto un complesso sistema di salvaguardie, fortemente voluto dai frugali, per impegnare i Paesi a un ritmo certo di riduzione del debito (dello 0,5 e dell’1% annuo per chi sfora rispettivamente il 60% e il 90% del rapporto debito/Pil) e del deficit pubblico (per portarlo all’1,5% del Pil in termini strutturali, rispetto al 3% del Pil fissato dai trattati). In altri termini, l’austerità uscita dalla porta, è rientrata dalla finestra. All’ultimo miglio della trattativa, l’Eurocamera è riuscita ad ottenere solo qualche spazio in più per gli investimenti pubblici e maggiori margini per deviare sui percorsi di spesa in caso di circostanze eccezionali. Bocciata invece la richiesta del Parlamento di estendere di dieci anni, oltre ai sette (quattro più tre) già inseriti nel testo, il periodo di applicazione dei piani di rientro.

IN CHIAROSCURO la valutazione del commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, che ha salutato l’intesa come «una buona notizia per l’economia europea» che «chiude un lungo percorso per ridisegnare le regole di bilancio». Per Gentiloni, l’accordo contiene dei miglioramenti rispetto alla posizione del Consiglio, in particolare per «l’ulteriore protezione degli investimenti pubblici e il rafforzamento della dimensione sociale» della riforma. Tuttavia, pur conservando gli elementi chiave della proposta della Commissione, i testi che fissano le nuove regole di bilancio sono «diversi e più complessi», ha ammesso.
L’accordo, che rischiava di slittare all’autunno prossimo, dovrebbe essere approvato in via definitiva entro aprile. Le nuove regole entreranno subito a regime: già a settembre gli Stati dovranno presentare i piani di spesa da applicare a partire dal 2025.