La pittura seminale alla Michaux, i filamenti di colore che intersecano la superficie e procedono oltre, spinti da forze centrifughe misteriose. E ancora, il guizzo gestuale che riporta tracce, orme, percorsi iniziatici, traiettorie solo in apparenza caotiche ma ben «sistemate» dentro un processo creativo che opera per via di addizioni materiche e non di sottrazioni, riempiendo ogni vuoto. Luigi Boille, l’artista che mai si discostò dalla pittura purissima, è morto ieri all’età di 89 anni.

10 1959

Era nato a Pordenone nel 1929, si era diplomato prima all’Accademia di belle arti di Roma nel 1949, poi in architettura, muovendosi per l’Europa fino a stabilirsi per quasi quindici anni a Parigi.
Informale per scelta e per istinto, vicino alle esperienze francesi degli anni Cinquanta, Boille strinse un sodalizio professionale con il critico Michel Tapiè, che lo scelse per esporre nelle sue mostre internazionali. Fra gli incontri più intensi di quegli anni, ci fu anche quello con Giulio Carlo Argan, che lo andò a scoprire nel suo studio parigino, per poi ricondurlo in Italia, attraverso una serie di rassegne sempre più fitte.
Ideogrammi, fonemi, segni vitalissimi: Boille scompigliava lo spazio con quel brulicare di presenze cromatiche e poi lo ricomponeva in un ordine tutto suo. L’astrattismo era una cartina di tornasole delle sue stratificazioni di studi: nei suoi lavori tornavano ad affiorare una serie di architetture costruite attraverso il rincorrersi dei segni che finivano per occupare ogni interstizio della realtà.

A volte, invece, dopo l’abbuffata, le presenze si diradavano e nel quadro affiorava una rarefazione di stampo orientale. Nelle collettive, spesso l’artista ha esposto in compagnia di Bonalumi, Castellani, Pace, Perilli, mostrando nelle sue opere l’altra faccia dell’Informale: quella che accentuava la precarietà del colore, il suo transitorio dna al posto della forma solidificata o degli «accidenti» della superficie, destinati a rimanere come concrezioni nel tempo.

 

Boille è uno dei pochi artisti ad essere rimasto tutta la vita fedele a una matrice calligrafica, in cui il segno era unico e indiscusso protagonista, tanto da inventare e rimodulare a piacimento le partiture spaziali. «La mia – diceva Boille – è soprattutto una scrittura intesa come immagine e forma espressiva». Una pittura la sua, che si leggeva proprio nel suo farsi, «barocca» per il moto perpetuo che la attraversava, macchina dell’azione che univa proiezioni mentali e gesti dalla forte fisicità.