Che Syriza sarà il partito vincitore delle prossime elezioni è considerato ormai un fatto certo da tutti i greci, compresi quelli che votano per Nea Dimokratria. La sinistra radicale sta lievamente aumentando la sua differenza dai conservatori, raccogliendo oltre il 31 per cento delle preferenze contro il 28 del partito del premier uscente Antonis Samaras.

Secondo gli ultimi sondaggi, al terzo posto tra il 5,5-4,5 per cento si trovano il Potami (Il Fiume), una nuova organizzazione centrista fondata dal giornalista televisivo Stavros Teodorakis, poi i nazisti di Chrysi Avghi (Alba Dorata) e i comunisti del Kke. Il Pasok, partner fino a ieri del governo di coalizione, supera la soglia del 3 per cento, mentre rischiano di rimanere fuori dal nuovo parlamento, raccogliendo poco piú del 2 per cento, i Greci indipendenti (Anel), partito anti-memorandum di destra, il Movimento dei socialisti democratici, fondato due settimane fa dall’ex premier Yorgos Papandreou, la Sinistra democratica (Dimar, sinistra moderata) e Antarsya, una formazione della sinistra di origine trotzkista. Una parte degli Ecologisti verdi, invece, ha scelto di collaborare con Syriza, mentre un’altra con la Sinistra democratica.

Se così staranno le cose, per Syriza sarà molto difficile fare un governo da sola. La legge elettorale offre un bonus di 50 seggi al partito vincente, ma la formazione di un governo monocolore non dipende soltanto dalla percentuale presa, ma anche dalla somma delle percentuali che raccoglieranno i partiti che non riusciranno a superare la soglia del 3 per cento nelle prossime elezioni. Se per esempio questa somma arriva al 15 per cento, Syriza potrebbe formare un governo anche con il 34,5 per cento. Se, invece, i partiti rimasti fuori dal parlamento raccolgono il 10 per cento dei voti, la sinistra radicale greca dovrà ottenere oltre il 36 per cento per poter costituire un governo monocolore.

L’obiettivo quindi di un governo tutto Syriza, per essere più forti contro la troika (Fmi, Ue, Bce) come vorebbe Alexis Tsipras, è molto complicato. Così come per il momento rimane incerto l’obiettivo di una maggioranza solida e quindi forte a trattare e a resistere alle pressioni dei mercati e dei creditori internazionali, Berlino compresa. Ecco perché la questione delle alleanze post-elettorali diventa una questione di primaria importanza per il giorno dopo, oltre ovviamente all’hair-cut del debito pubblico e all’annullamento dei memorandum, questioni che riguardano i rapporti di Atene con i creditori internazionali. Intanto, a prescindere dalle eventuali difficoltà per la formazione del governo, il nuovo parlamento deve comunque eleggere il Presidente della Repubblica.

Per il momento in via Koumoundourou, quartier generale di Syriza, Tsipras e tutti gli esponenti del partito non perdono occasione per sottolineare la necessità di ottenere una «grande vittoria», con una percentuale alta (oltre il 35 per cento). Non solo perché la legge elettorale è «abusiva», bensì per il fatto che sia a destra che a sinistra di Syriza non ci sono ponti di dialogo per un’eventuale cooperazione post-elettorale con forze politiche collaterali. Negli ultimi mesi, il dibattito tra gli «alleanzisti» e gli «incoalizzabili» è stato spesso difficile.

Alexis Tsipras fin dall’inizio era a favore di alleanze con «forze politiche che si svincolano dai memorandum», ma anche con personalità provenienti da altre aree ideologiche. Invece Panajotis Lafazanis, capogruppo parlamentare di Syriza e leader della componente Aristero Revma, si è schierato contro «qualsiasi collaborazione con le forze e le persone considerati responsabili degli accordi con la troika». L’«alleanzista» Tsipras, insomma, si presenta più aperto nei confronti di chi ha cambiato rotta nei confronti della troika, mentre l’«incoalizzabile» Lafazanis non vorrebbe avere alcun rapporto con i socialisti pentiti.

Alla fine la querelle si è risolta con un compromesso, pure questo non ben chiaro per una parte dell’elettorato: sì a una collaborazione con ex parlamentari provenienti dal Pasok che avevano votato a favore dei primi accordi con i creditori internazionali; no a un dialogo e a un eventuale accordo programmatico con le forze a destra di Syriza e quindi con il centrosinistra.

Indicativa a questo proposito è stata la conclusione degli incontri tra Alexis Tsipras e Fotis Kouvelis, leader della Sinistra democratica (Dimokratiki aristera, Dimar). Componente fino al 2010 di Syriza, di cui esprimeva l’ala moderata e riformista, erede della cultura eurocomunista, la Sinistra democratica prima si è allontanata dalla coalizione della sinistra radicale, poi ha deciso di far parte del governo di larghe intese guidato da Samaras, ma ha abbandonato i suoi partner conservatori e socialisti subito dopo la chiusura-choc della radio-televisione pubblica nel giugno del 2013. Kouvelis, vecchio esponente della sinistra greca, anche come partner del governo di coalizione non ha smesso di criticare l’operato governativo. Negli ultimi mesi Tsipras e Kouvelis stavano lavorando insieme per una collaborazione in base a un accordo programmatico tra Syriza e Dimar.

Ma la maggioranza degli esponenti dei due partiti erano contrari a questa prospettiva e nella sua ultima riunione il comitato centrale di Syriza ha concluso che la Sinistra democratica «sta dall’altra parte della barricata». Analoga posizione di rifiuto Syriza ha, ovviamente, nei confronti del Pasok e del Movimento dei socialisti democratici dell’ex premier Yorgos Papandreou – «sono forze politiche che hanno distrutto la Grecia» ha detto Tsipras – e di Potami (Il Fiume), visto che «è una forza dello status quo».

Tsipras ha invece lanciato un invito per una collaborazione post-elettorale alle altre forze della sinistra, il Partito comunista di Grecia (Kke) e i trotzkisti di Antarsya. Ma la risposta dei comunisti del Kke è sempre la stessa: un categorico «no». «Dicono che vorrebbero fare la rivoluzione, ma discutono con i rappresentanti della City e del Bilderberg Group», sottolinea il segretario del Kke, Dimitris Koutsumbas, descrivendo Syriza come «una forza filoborghese che accetta il memorandum».

In realtà il dibattito interno a Syriza sulle alleanze rispecchia i differenti modi in cui le undici componenti di cui è composta la coalizione vorrebbero governare la Grecia. C’è chi crede che il Paese potrebbe essere governato senza trattare con nessuno e chi sostiene che il dialogo è comunque necessario anche con gli avversari. C’è chi vorrebbe essere a tutti i costi radicale e chi vede la sua moderazione come «un male necessario» per affrontare la crisi umanitaria del Paese.
Di fatto, il vantaggio di un pluralismo, di tante voci diverse che convivevano sotto lo stesso tetto rischia ora di indebolire la capacità di trattare e la forza di governo di Syriza. «In questo momento l’unica forza alternativa nel paese siamo noi. Una volta al governo) prenderemo delle decisioni unilaterali», dice Lafazanis sull’annullamento del memorandum. «No agli atti unilaterali», risponde invece il parlamentare di Syriza Yorgos Stathakis, professore di economia.

«Dobbiamo farla finita con Il poliglottismo», ha sottolineato pochi giorni fa Alexis Tsipras, ma difficilmente verrà ascoltato. È questo pluralismo di idee e di posizioni su come affrontare gli avversari che rischia di diventare il tallone d’Achille per Alexis Tsipras, il giorno dopo il voto del 25 gennaio.