Il 27 maggio prossimo ricorre il cinquantesimo dalla morte del pittore Antonio Ligabue. “Al Matt”, “al Tedesch” -due dei nomignoli affibbiatigli durante la sua vita tormentosa e movimentata- sarà oggetto di molte attenzioni nei mesi a venire. Ad aprire le celebrazioni con qualche anticipo contribuisce anche l’ultimo lavoro a fumetti di Nazareno Giusti, giovane autore di Barga (Lucca) che ha già alle spalle volumi biografici ben disegnati quali L’ultimo Questore. La vera storia di Giovanni Palatucci, il poliziotto che salvò migliaia di ebrei (Belforte, 2009), La Firma. Guido Rossa, un operaio contro le BR (Tagete, 2010) e Non muoio neanche se mi ammazzano. Vita di Giovannino Guareschi (Hazard, 2012). Personaggio e artista, senza tetto né famiglia, il protagonista di Ligabue. Il ruggito (Hazard, 176 pp. a colori, Є18) racchiude in sé la sintesi estrema fra l’istinto selvaggio dell’animale e la sublimazione nell’arte della sensibilità umana ingovernabile. Raffigurato libero a dormire sotto le stelle nel bosco e rinchiuso in gabbie psichiatriche, dove trova pace solo lasciando correre il pennello in vece sua, il Ligabue di Giusti segue un percorso biografico cronologico a sprazzi quasi impressionistici. In questo l’autore non si cura troppo di delimitare le immagini con linee definitive nette, ma lascia respirare colori e sequenzialità che, a rischio di non informare in modo esauriente, lascia una traccia lunga sul sentire del lettore. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come hai avuto l’ispirazione per dedicarti a Ligabue?

E’ stata la diretta conseguenza del mio lavoro su Guareschi. Nella piccola introduzione al libro dico che ho conosciuto Ligabue mentre passeggiavo sul fiume assieme a Giovannino. Può sembrare una trovata da quattro soldi, ma in realtà è così. Quando certi personaggi ti entrano dentro e ci stai “assieme” per molto tempo, è così.

In che modo ti sei documentato?

Ho letto il Ligabue di Zavattini, poi mi sono documentato su alcuni cataloghi ma niente di troppo minuzioso. Ho visto ovviamente lo sceneggiato Rai con il grande Flavio Bucci, poi però ho cercato di dimenticarmene. Troppo alto il rischio di farne la brutta copia cartacea, anche se chi fruirà di entrambi troverà analogie come è logico in due opere che parlano dello stesso uomo, rispettandolo.

Che figura ne viene fuori dal tuo lavoro?

Questo non dovrei essere io a dirlo ma chi leggerà il lavoro. Comunque ciò che mi rimane dentro, dopo questa passeggiata con Ligabue, è la tristezza e allo stesso tempo lo stupore per la vita amara e bastarda che gli è toccata. Ho cercato di non farne però un santino. Ligabue era anche prepotente e arrogante, e questi atteggiamenti me lo fanno sembrare ancora più grande. Un gigante. Inoltre sempre più mi convinco che lui è stato veramente un artista puro che se ne infischiava di quello che oggi chiamiamo “politicamente corretto”. Basta pensare a come risponde a un amico che, dopo il suo viaggio a Roma, gli chiese se gli era piaciuta la Cappella Sistina di Michelangelo. Lui rispose: “Un pittore che non dipinge bestie non è pittore”. Un’affermazione che, nella sua follia, ci fa capire bene l’uomo.

Più che una biografia puntuale sembra tu abbia preferito mettere in risalto delle suggestioni e degli stati d’animo. E’ così?

Io penso che oggi, nel 2015, nell’epoca digitale e di Wikipedia, tutti hanno subito accesso alle informazioni che vogliono. Se quindi uno vuol sapere quando è nato Ligabue in due secondi lo sa. Quindi io devo cercare di dare qualcosa in più al lettore che decide di impegnare i suoi soldi nel mio lavoro. Non spiattellargli una serie di date e eventi e basta, che è il problema di tanto, troppo, fumetto impegnato che ci circonda (ed è una critica da lettore). Poi mi ha dato conferma di questo pensiero una frase di Giuseppe Verdi che sosteneva che “bisogna reinventare il vero”: una frase che può sembrare fuorviante ma che in realtà fa capire, a me ragazzo di oggi, che chi crea deve mettere qualcosa di sé nell’opera, altrimenti fa un lavoro da studio grafico (con tutto il rispetto). Certo, muovendosi così si incorrono in parecchi rischi, a volte anche di leggibilità. Ma è un rischio che vale la pena. In particolare in questo lavoro mi sono permesso anche di disseminare il lavoro di qualche citazione di film, opere o personaggi che, in qualche modo, hanno a che fare con la storia di Toni e la terra in cui si svolge.

Anche lo stile del disegno sembra viaggiare più per impressioni veloci che per descrizione dettagliata…

Sì, non mi sono posto, sinceramente, il problema dello stile. E’ venuto da sé, come in un flusso di coscienza. Non è dettagliato, dà delle impressioni e, speriamo, delle emozioni. Più che altro sono i colori che raccontano le atmosfere e i sentimenti.

E’ evidente lo stretto nesso che vedi fra il pittore e il mondo animale. Vuoi espandere?

Beh, è evidente guardando i suoi quadri. Alla fine quando pensiamo a un suo quadro ci vengono in mente le sue tigri. Ecco anche il perché del titolo, che inizialmente avevamo pensato come Ruggito disperato, guardando i suoi quadri sembra giungerci un ruggito che viene da lontanissimo, da epoche arcaiche, quasi precristiane, in cui fortissimo era il legame con gli animali. Il rapporto e gli aneddoti del Toni con le bestie sono tanti e variegati, andrebbe dedicato un articolo apposito e non basterebbe. Certo è che nel mio lavoro ho cercato di dare risposta al perché di questa ossessione per il mondo animale

Il fascismo, la guerra, l’ospedale psichiatrico fanno solo da sfondo alla vita di Ligabue o hai voluto conferire un peso specifico a questi temi nella storia?

Non so, in effetti nell’economia della storia hanno un loro peso. Ho voluto toccare, se pur marginalmente questi temi, di grande interesse.

Integra pure con quello che ritieni fondamentale…

Alla fine di questo lavoro, che attenzione ho realizzato nel 2011, ma che solo ora ha visto la pubblicazione grazie a Gianni (Miriantini, editore di Hazard, ndr) che ci ha creduto, ho trovato in un catalogo questa frase:A me faranno un film, quando sarò morto, a me faranno una grande mostra, a me faranno un monumento, perché me sono un grande artista, avete capito?”. A dirla, ovviamente, è Ligabue. Non ti nascondo che mi sono commosso leggendola. C’è tutta la sua parabola umana e artistica in questa frase sgrammaticata, presuntuosa e al tempo stesso cosciente, sincera. E’ stato come la chiusura di un cerchio. Interessante poi è che, sempre a lavoro finito, abbia trovato affinità, anche ovvie, con due grandi scrittori lucchesi. Il suo rapporto con il mondo animale mi ricorda lo scrittore delle bestie Vincenzo Pardini che dice “amare gli animali può far soffrire: rimane in loro ciò che noi abbiamo perduto di sacro” e, per la sua follia l’immenso, Mario Tobino che in una vecchia intervista spiega che la vera e propria follia non permette di creare. Ma qui inizierebbe un discorso lungo, ma interessante.