Una certa nuova aria di cinema che si sente oggi, causata dall’interesse verso il documentario è cominciata quindici anni fa all’Apollo 11 di Roma, in un’aula di un istituto tecnico (il Galilei) vicino a piazza Vittorio che allora era solo un quartiere popolare e non il multietnico centro culturale diffuso che è oggi. Si trova tra casa Pund, la storica gelateria Fassi, la porta alchemica, gli Horti Lamiani e la basilica neopitagorica. L’Apollo 11 lancia la sua nuova stagione di programmazione dal titolo «Racconti dal vero» una rassegna curata da Giacomo Ravesi, con un incontro a cui sono intervenuti tanti cineasti che in questo spazio hanno proiettato i loro primi film o hanno presentato le opere dei più giovani colleghi in lunghi dibattiti con il pubblico: Antonietta De Lillo (qui portò in anteprima Il resto di niente), Andrea Segre, Mario Balsamo, Gianfranco Pannone, Daniele Vicari, Costanza Quatriglio, Pietro Marcello, Luca Ragazzi uno dei fondatori di Apollo 11 che lavora con Gustav Hofer. Li accoglie Agostino Ferrente che, con la sua abilità olimpica non si è lasciato mai scoraggiare in tutti questi anni dall’andamento così poco favorevole del vento del cinema. Nati come Piccolo Apollo per protestare contro la chiusura del cinema Apollo, creando una specie di dependance provvisoria in quell’aula sotterranea, l’Apollo 11 (così è stato poi ribattezzato) è oggi più vitale che mai e negli anni ha fatto crescere il suo pubblico. È sempre stata la «casa del documentario», quando nessuno sapeva neanche cosa fosse quell’oggetto misterioso che forse parlava di animali come nei film della Bbc mentre oggi le sale se li contendono dopo i premi internazionali ricevuti, ultimo a Berlino Fuocoammare di Rosi. Quindici anni fa il documentario si contrapponeva a quello standardizzato che bloccava le creazioni indipendenti, occhio puntato sulla realtà che venti anni di berlusconismo televisivo (chi lo ricorda più) avevano contraffatto. «Quando siamo nati, dice Agostino Ferrente a Roma non c’era il cinema Trevi, né la Festa del Cinema, i cineclub erano chiusi e non c’erano neanche i cinema occupati e noi proiettavamo i documentari. Il primo è stato Gianfranco Pannone, con Latina littoria alla presenza di Pennacchi, Pascali, Piccolo, poi abbiamo fatto la personale, dopo quindici anni di silenzio, di Vittorio De Seta nell’aula magna della scuola». E dopo il suo rilancio bisogna ricordare che anche Alberto Grifi riuscì ad ottenere, grazie all’Apollo 11 un sostegno negli ultimi mesi della sua vita e non solo celebrazioni.
Mentre le sale continuano a chiudere, il rilancio dell’Apollo 11 in sinergia con Doc/it, il premio Solinas, i Cento Autori e Zalab avverrà con la proiezione di tre film al giorno anche in originale con sottotitoli, eventi serali, proiezioni per ragazzi. Andrea Segre (Zalab) propone laboratori per italiani di seconda generazione: «Progettiamo di utilizzare lo spazio come dialogo con il quartiere, affinché nascano narrazioni di quartiere, non solo proiezioni». Il loro evento Fuoriclasse la scuola possibile di Stefano Collizzolli e Michele Aiello si terrà il 21 aprile. Gli altri appuntamenti di questo mese (alle ore 21) sono: Love is all, Piergiorgio Welby, autoritratto (il 7 aprile) e Una stanza in casa mia. Val Susa e dintorni di Daniele Gaglianone (il 12 aprile).
Goffredo Fofi intervenuto all’incontro, suggerisce di cambiare nome al termine documentario: «Cinema parallelo era chiamato negli anni ’60 perché allora c’era un cinema forte, di genere, drammatico, avventuroso ecc. e poi c’era questo cinema parallelo che andava verso il cinema militante. Così oggi c’è un cinema delle multinazionali, del conforme, dominato dal circuito del denaro e poi c’è un cinema parallelo che ha molte varianti. Questo è il cinema che inventa, rielabora, esplora il presente. Questo cinema parallelo è uno spazio di libertà che va preso. Bisogna approfittare di questa libertà. Anche per incitare all’azione». Gianfranco Pannone invita a far diventare il luogo anche un punto di riflessione a partire dalle discussioni nate intorno al punto di vista di Fuocammare, su cosa sia leggittimo riprendere, cosa sia urgente («il problema è: fino a che punto posso arrivare? posso riprendere il volto di una donna che piange? riprendere i morti?») , una discussione nata su facebook con Daniele Vicari e che dovrebbe essere condotta in uno spazio meno virtuale. E la discussione riprende ad innescarsi («il problema è che per i migranti Rosi rappresenta il poliziotto» dice Andrea Segre, lui racconta perché è autorizzato»). Costanza Quatriglio quando girò nel 2006 Il mondo addosso che raccontava la vita di minorenni afgani, romeni, moldavi fuggiti dalle guerre e povertà, e accolti ma solo fino alla maggiore età ebbe la prima proiezione fu all’Apollo 11: «Sentivamo il peso di una scelta che non era capita né condivisa, dice, i primi passi dell’Apollo 11 sono stati anche i primi passi di quei minorenni. Abbiamo cominciato questo mestiere appropriandoci di telecamere, facendo film che non venivano visti. Oggi dobbiamo stare molto attenti perché i documentari sono stati legalizzati, ci si concede di farli, beninteso in modica quantità». Daniele Vicari si contrappone con decisione a Fofi, alle discussioni, alle associazioni: «L’ultima cosa che dobbiamo dire è: il cinema siamo noi. Lo può dire Fofi perché è un critico. Non c’è dubbio che tutta la sperimentazione, se non altro per i premi ricevuti, negli ultimi dieci anni appartenga al documentario. Il fatto è che questa sperimentazione viene meno se ci chiudiamo a riflettere. Non dobbiamo riflettere, dobbiamo continuare a fare i nostri film. Le associazioni sono la morte del cinema».