Le ambasciate europee in Paesi del Nord Africa più stabili – come il Marocco e la Tunisia – si dovrebbero aprire ai profughi che scappano dalle guerre e dalla persecuzione da stati come Eritrea, Siria, Nigeria, Somalia, Sudan: potrebbero offrire dei “corridoi umanitari”, come scialuppe per un viaggio sicuro verso il nostro continente, evitando che i migranti si avventurino sui barconi della morte.

La proposta viene da Fcei (federazione chiese evangeliche), Tavola Valdese e Comunità di Sant’Egidio che per dare immediata concretezza al progetto hanno pensato di proporre al governo italiano la possibilità di aprire al più presto l’ambasciata del Marocco, con veri e propri humanitarian desk di prima accoglienza a Rabat e Tangeri. Il tutto verrebbe finanziato dall’Otto per mille destinato alla Chiesa valdese (si pensa già a un investimento di 500 mila euro per il primo anno) e da Sant’Egidio, con zero costi per lo Stato.

Con la collaborazione di soggetti locali come l’Acnur, la Chiesa valdese del Marocco e la diocesi di Tangeri, i migranti verrebbero accolti da questi humanitarian desk in connessione con l’ambasciata italiana, e otterrebbero un primo visto: potrebbero così imbarcarsi su un aereo, per un viaggio sicuro e protetto, per poi avanzare regolare domanda di asilo politico una volta arrivati in Italia.

Certo, non si eviterebbe – almeno in un primo momento – che molti non continuino a confluire verso la Libia, ma se si riuscissero a creare altrettanti canali in tante altre ambasciate – l’ambizione delle chiese è appunto di coinvolgere tutti i Paesi Ue – prima o poi si potrebbe indirizzare un flusso consistente di profughi verso questi approdi più sicuri. Sottraendoli oltretutto (insieme a ingenti risorse economiche) all’organizzazione criminale degli scafisti.

La Fcei e la Chiesa valdese già da un anno hanno in gestione un progetto, con basi a Scicli e a Lampedusa, il Mediterranean Hope: a Scicli c’è «La casa delle culture», un centro di accoglienza che attualmente ospita 32 migranti, assegnati dalle prefetture come avviene per tutti gli Sprar italiani, ma con la particolarità che neanche un euro viene dallo Stato, ma anche in questo caso tutto è finanziato dall’Otto per mille di pertinenza della Chiesa valdese. Per il primo anno sono stati investiti circa 500 mila euro (sul totale di 44 milioni dell’Otto per mille ricevuti nel 2014), a cui si sono aggiunte altre risorse donate dalle Chiese evangeliche tedesche per l’orientamento degli immigrati una volta che si sono stabilizzati (dalla ricerca del lavoro fino ai ricongiungimenti familiari).

La seconda parte di Mediterranean Hope consiste in un osservatorio basato a Lampedusa, con due operatori: «Partiamo dalle esigenze degli immigrati, ma cercando di farli confrontare con la comunità di Lampedusa – spiega uno di loro, Francesco Piobbichi – L’idea è di lavorare anche sui bisogni dei lampedusani, come la sanità, lo sport, la gestione della biblioteca, in modo da costruire la coscienza comune di un luogo di frontiera. Il 2 maggio ad esempio verranno dei ragazzi dai centri di Palermo e di Scicli per i “Mondiali dell’antirazzismo”. Il problema è che nessuno fa parlare i profughi, non gli si dà voce nei media: noi vorremmo farli uscire dall’isolamento e farli dialogare con le comunità che li accolgono».

L’osservatorio risolve anche problemi pratici: «Sulla nostra pagina Facebook, MH-Mediterranean hope ci arrivano continue richieste di aiuto: da tutta Europa ci mandano le foto e i nomi dei familiari, e noi le appendiamo sulle cabine telefoniche. Gli immigrati escono dal centro di accoglienza di Lampedusa attraverso un buco nelle recinzioni, nella generale tolleranza delle autorità, e possono così mettersi in contatto con i loro cari. Questa settimana abbiamo ricongiunto due nuclei, e proprio oggi abbiamo ritrovato la moglie di uno dei ragazzi del centro, ustionata, che è ricoverata a Palermo. Si tratta di un gruppo di profughi sbarcati l’11 aprile: prima di partire dalla Libia, nell’appartamento in cui erano stipati in 100, è esplosa una bombola. Si sono feriti in 15, e invece di portarli in ospedale, gli scafisti li hanno imbarcati. Uno di loro ha perso la vita in viaggio, tutti gli altri adesso sono al centro grandi ustioni di Palermo».