Dopo la decisione della scorsa settimana del governo ceco di vietare le esportazioni di materiale militare in Ucraina, il fronte dei Paesi dell’Est si spacca definitivamente. Sulla stessa linea d’onda anche il governo slovacco.

Ad avere un’influenza preponderante sulla decisione dei due esecutivi sono stati i partiti socialdemocratici locali. Primo a esprimersi decisamente e con grande chiarezza è stato il premier slovacco Robert Fico, che guida un governo monocolore socialdemocratico. «All’Ucraina possiamo offrire le nostre esperienze nel processo di trasformazione sociale e politica, ma non le armi. Al conflitto non esistono soluzioni militari» ha dichiarato il premier slovacco.

Posizione più dibattuta invece nel governo ceco, anche perché è sorretto da una coalizione tra i socialdemocratici, il movimento del miliardario Andrej Babis Ano 2011 e i popolari di Kdu-Csl, da sempre su posizioni filo-atlantiche. A inizio febbraio si era opposto all’invio di armi il Comitato centrale del partito approvando una mozione proposta dal ministro degli esteri Lubomir Zaoralek.

«La priorità del momento è la piena attuazione dei piani di Minsk, il cui fallimento aprirebbe una spirale di escalation sul piano militare e di altre sanzioni economiche – ha sottolineato invece il premier socialdemocratico Bohuslav Sobotka – Dare armi all’Ucraina sarebbe una scelta infelice».

La posizione del governo ceco è stata però offuscata da una serie di articoli pubblicati negli ultimi giorni dal maggior quotidiano del Paese Mlada fronta Dnes, di proprietà del vicepremier Andrej Babis. Le inchieste del giornale hanno messo in luce il vivace traffico d’armi tra alcune aziende ceche e il governo ucraino. Una di esse, la CZ Hemenex, ha mandato un’ultima partita di armamenti proprio a fine anno. Subito in conflitto aperto con il governo ceco. Il Ministero dell’Industria e del Commercio ha però fatto sapere, che le licenze per la vendita delle armi sono state sospese a partire da metà febbraio.

Il traffico d’armi è imbarazzante per l’esecutivo di Bohuslav Sobotka anche perchè sembra violare l’indirizzo espresso dal Consiglio Europea in febbraio 2014, che invitava i stati membri a non fornire all’Ucraina materiale, che potesse servire alla represne interna. «Nel 2013 sono state concesse licenze per le esportazioni di materiale militare verso l’Ucraina per un valore complessivo di 111 milioni di corone,s,o mentre nel 2014 sono state date licenze per le esportazioni di un valore complessivo di soli otto milioni di corone» si difende il Ministero.

Con queste decisioni il governo ceco e quello slovacco vanno in controtendenza rispetto alla posizione della Polonia e dei Paesi baltici, che sono per la fornitura di armi all’esercito ucraino. Raggiunge quindi l’apice la rottura emersa già nel 2009, quando gli Stati Uniti rinunciarono alla costruzione delle basi missilistiche – lo Scudo antimissile – in Repubblica Ceca e in Polonia.

A Praga la decisione fu presa con sollievo, mentre per i polacchi preoccupati si trattava di un chiaro segno di disimpegno dell’amministrazione Obama dall’area. Da allora le politiche estere dei due Paesi hanno faticato a trovare qualche convergenza.

Questa divaricazione non sfugge alle opposizioni conservatrici, che accusano il governo di appeasement. «Il governo sta portando il Paese verso delle posizioni più improntate alla neutralità di tipo austriaco – nota allarmato il parlamentare del partito conservatore Top 09 Marek Zenisek – Al contrario in Polonia prevale una posizione filoatlantica, e non ci si chiede se si debba stare dalla parte dell’Occidente o dell’Oriente».

Posizioni manichee prevalgono anche nel dibattito pubblico, dove sono sempre più frequenti gli scontri tra i sostenitori di una linea pro-ucraina e quelli pro Putin. Nel dibattito la società ceca appare – vista da entrambi i fronti – sempre più attraversata dai fantasmi del passato e dalla volontà di dar vita a una vera e propria Guerra fredda delle idee.