«L’uccisione mirata da parte di Israele dei comandanti di Hezbollah nel Golan era davvero necessaria? Potrebbe portare ad una escalation indesiderata, Hezbollah risponderà». Questo tweet diffuso domenica sera da Yossi Melman, giornalista israeliano esperto di servizi segreti, ha posto un serio interrogativo alla leadership del suo Paese che qualche ora prima aveva ordinato l’attacco aereo nella Siria meridionale facendo una dozzina di morti, tra i quali sei alti ufficiali del movimento sciita libanese – inclusi Jihad Mughniyeh, figlio dello storico comandante di Hezbollah, Imad Mughniyeh, assassinato nel 2008 a Damasco dal Mossad, e soprattutto Mohammed Issa, capo delle operazioni militari del gruppo in Siria – e un importante generale iraniano, Mohammad Dadi, dei Guardiani della Rivoluzione. Ma il premier Netanyahu, in piena campagna elettorale, deve aver calcolato bene i pro e i contro di un raid aereo tanto devastante e ha scelto di attaccare. La risposta di Hezbollah arriverà, senza dubbio, ma non con un attacco di razzi che finirebbe per innescare un conflitto vero e proprio con Israele mentre il movimento sciita impiega migliaia di combattenti in Siria a sostegno dell’esercito governativo.

 

Ieri a Dahiye, alla periferia sud di Beirut, migliaia di libanesi scandivano ‘Morte a Israele’ e ‘Morte all’America’ seguendo la bara di Jihad Mughniyeh portata in processione fino al cimitero di Raudat El Shahidain, per essere sepolta accanto a quella del padre Imad. Tuttavia il desiderio di rappresaglia di dirigenti e militanti di Hezbollah si scontra con le condizioni attuali dell’Iran, loro principale alleato, che non vuole una guerra (che potrebbe espandersi) mentre fa i conti con il calo eccezionale del prezzo del petrolio che ha prosciugato le sue casse ed è impegnato in negoziati delicati con l’Occidente sulla sua produzione di energia nucleare. Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, peraltro sa che una nuova guerra con Israele, come quella del 2006, non avrebbe il sostegno dell’intera popolazione libanese. La risposta del movimento sciita ci sarà ma non subito. Si materializzerà con “rappresaglie calcolate”, come le ha definite ieri una fonte di Hezbollah. Netanyahu ritiene che Israele potrà sopportarle e sfruttarle mediaticamente a suo vantaggio.

 

Il primo ministro israeliano perciò si gode gli esiti di questo nuovo sanguinoso raid aereo, il settimo sul suolo siriano dall’inizio della guerra civile e il quarto diretto contro Hezbollah. Per comprendere almeno in parte gli interessi che sono dietro questo ultimo attacco, occorre tenere presente dove è avvenuto: a ridosso delle Alture del Golan, territorio siriano che Israele occupa dal 1967 e che non ha alcuna intenzione di restituire. Mohammed Issa, Imad Mughniyeh, il generale iraniano e tutti gli altri rimasti uccisi sono stati centrati da due missili ad alto potenziale sparati da un elicottero mentre si trovavano in perlustrazione nel villaggio di Mazrat al-Amal, in prossimità di Quneitra. I media israeliani hanno riferito di una presunta intenzione di Hezbollah e dell’Iran di piazzare in quel villaggio batterie di missili puntati verso Tel Aviv. La guerriglia sciita però ha già migliaia di razzi e missili in grado di colpire Israele dal Libano del sud, perchè dovrebbe aggiungerne qualche altro in un’area instabile come la Siria meridionale, controllata solo in parte dall’esercito nazionale?

 

In realtà il governo israeliano attaccando ha voluto segnalare che farà il possibile per impedire che Hezbollah rafforzi le sue posizioni in quella zona e aiuti le forze armate governative a riprendere il controllo delle aree ora nelle mani dei qaedisti. Israele infatti non apre il fuoco sui miliziani di al Nusra, la costola locale di al Qaeda, che controllano il versante siriano del Golan. Negli ultimi quattro anni ha colpito in Siria solo Hezbollah e l’esercito di Bashar Assad. Eppure appena qualche giorno fa, a Parigi, Netanyahu arringava i leader europei a coalizzarsi con Israele nella lotta all’islamismo che «minaccia i valori dell’Occidente». Un progetto concreto orienta la politica di Tel Aviv nella Siria meridionale. All’inizio di dicembre le Nazioni Unite avevano riferito di contatti stabili tra Israele e i “ribelli” sul Golan. E negli ultimi due anni sono circolate voci di una intesa tra lo Stato ebraico e l’opposizione anti-Assad per la creazione di una “zona cuscinetto” in Siria a protezione delle Alture, che rimarrebbero in mani israeliane. L’obiettivo è la caduta di Assad, con la conseguente fine dell’influenza iraniana, e la frantumazione della Siria, in modo che il Golan resti sotto il controllo di Israele.

 

Netanyahu allo stesso tempo ha voluto ferire l’orgoglio di Nasrallah che pochi giorni fa aveva ammonito Israele dal lanciare attacchi in Siria e Libano. E ha fatto felici le petromonarchie del Golfo – delle quali nei mesi scorsi si era proposto come difensore – che vedono in Hezbollah il motivo per il quale le fazioni armate che finanziano e armano non sono riuscite ad abbattere Bashar Assad.