La cronaca impone di riferire che ieri la Commissione Affari costituzionali ha approvato l’articolo 4 del ddl sul premierato elettivo, il secondo dei due pilastri della riforma Casellati-Meloni. Le considerazioni da fare sono invece di due tipi, una politica e una seconda istituzionale. A livello politico il passaggio di ieri segnala un elemento di coesione del centrodestra e di debolezza delle opposizioni; a livello istituzionale va registrata ancora confusione, tanto che la stessa maggioranza ha annunciato che il testo appena approvato cambierà in Aula, con una esplicitazione che il vero obiettivo della riforma è ingabbiare il Quirinale.

L’ARTICOLO 4, OGGETTO del voto di ieri, è quello che vuole regolamentare le crisi di governo. Già questo è un elemento di contraddittorio con l’elezione diretta del premier, contemplata nell’articolo 3, e che vorrebbe un ricorso automatico alle urne in caso di caduta del presidente del consiglio eletto dal popolo – più che dai cittadini, vista la concezione plebiscitaria del testo. Ma tant’è.
Il testo approvato ieri dell’articolo 4, prevede molteplici situazioni, accomunate da un aumento dei margini di manovra del premier eletto a danno dell’iniziativa del presidente della Repubblica, che non sarà più quel motore di riserva che finora è stato. Se il premier eletto verrà sfiduciato con una «mozione motivata», si andrà direttamente a urne anticipate. Se invece egli si dimetterà – e vedremo che qui si giocano le ambiguità – si apriranno due strade: potrà chiedere lo scioglimento delle Camere al capo dello Stato che «lo dispone»; oppure, «qualora non eserciti tale facoltà», potrà chiedere al presidente della Repubblica un reincarico per un nuovo governo anche con una diversa maggioranza rispetto a quella elettorale, o potrà anche «passare la mano» – secondo l’espressione della ministra Casellati – ad un altro esponente della propria maggioranza. Viene istituzionalizzata quindi, anzi favorita, la gestione extraparlamentare delle crisi di governo, come ha evidenziato Andrea Giorgis del Pd.

TUTTAVIA LA FORMULAZIONE sintattica dell’emendamento lascia aperta una ambiguità di fondo, nel senso che secondo una lettura il presidente della Repubblica potrà respingere la richiesta di scioglimento delle Camere. La ministra Casellati ha affermato che la richiesta del premier è «insindacabile» per il capo dello Stato, ma linguisticamente non è certo. Di qui la riformulazione del testo proposta da Marcello Pera e dal relatore Alberto Balboni che toglierebbe ogni dubbio, nella direzione di un presidente della Repubblica ridotto a semplice «notaio» dei desiderata del premier, secondo l’espressione di Dario Parrini (Pd) e del leghista Paolo Tosato, o addirittura «maggiordomo», secondo le parole di Alessandra Maiorino (M5S). Fuori da ogni prassi è stato approvato l’emendamento Casellati con la sua ambiguità, annunciando al contempo la presentazione in aula del testo Pera-Balboni. In questo varco si è inserito Tosato che ha riaperto un capitolo in vista dell’Aula. A suo giudizio un governo a cui il parlamento nega la fiducia posta su un atto non è obbligato a dimettersi, nel senso che se si tratta di «un semplice incidente parlamentare» potrà andare avanti. In base a tale lettura questa situazione non sarebbe regolamentata, e invece, secondo Tosato, lo deve essere. Di qui la sollecitazione alla maggioranza di un intervento in Aula anche su questo capitolo. La confusione non solo è ampia, ma essa nasconde una possibile riserva mentale della Lega sul premierato qualora gli alleati facessero qualche tiro mancino sull’Autonomia differenziata alla Camera.

PER UNA VOLTA SPARTA (il centrodestra) ride, e Atene (le opposizioni?) piange, per l’inaspettato aiuto dato alla maggioranza con l’emendamento di Avs approvato martedì. Questo ha tolto la parola «volontarie» dal testo Casellati, facendo sì che in tutti i casi di dimissioni del premier eletto, questi abbia la facoltà di chiedere le elezioni anticipate, e non solo nelle situazioni di – appunto – dimissioni volontarie. L’emendamento di Peppe De Cristofaro era stato presentato oltre un mese fa, quando su questo punto Lega e Fdi si accapigliavano: serviva dunque a far emergere le contraddizioni interne al centrodestra. Ma dopo il patto Meloni-Salvini della scorsa settimana sul via libera concomitante a premierato e Autonomia differenziata, le cose sono cambiate. La Lega non ha posto veti sull’eliminazione della parola «volontarie» e le opposizioni si sono ritrovate a dare un aiuto a Casellati-Meloni, per di più irrise dalla ministra che ha vantato la propria prontezza al dialogo.