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La distruzione permanente del patrimonio ambientale terrestre, prodotta da una mistura d’incontrollata crescita demografica, consumismo ultra-capitalistico, assalto alle risorse e ignorate istanze di sviluppo sostenibile, è un po’ come lo slogan turistico della città di New York: non dorme mai.
L’unica differenza tangibile con il passato recente è che gli effetti di questa insonnia distruttiva erano fino a qualche tempo fa relegati a zone remote del pianeta – problemi brutti, per carità, ma altrui – mentre adesso sono, per così dire, davanti all’uscio di casa dell’occidente sviluppato: un uscio e una casa sempre più spesso sommersi d’acqua e fango.

Ma i due luoghi simbolo di quest’agonia ambientale sono senz’altro l’artico, ridotto a ghiacciolo dimenticato fuori dal frigo completo di orsi bianchi disperatamente aggrappati a fragili zattere di ghiaccio, e naturalmente l’Amazzonia, cuore verde del pianeta che l’uomo, come una specie di bulimico superbug, sta divorando senza tregua. Non limitandosi alle piante e agli animali, ma cancellando anche i propri simili.
Un documento empatico ma antiretorico e per nulla sentimentale dei rischi di questa cancellazione è quello colto dall’obiettivo di Domenico Pugliese, fotografo italiano trapiantato a Londra da ben prima della recente diaspora italiana verso isole britanniche ma ottimo conoscitore del Sudamerica, e del Brasile in particolare.

The Last Hunters, la sua mostra presso l’ambasciata del Brasile a Londra, visitabile fino al 14 giugno, rappresenta la vita quotidiana dell’ultima tribù nomade pre-amazzonica, i cacciatori-raccoglitori Awá-Guajá, «scoperti» solo negli anni Settanta. Ha cominciato a fotografarli nel 2009 per una rivista brasiliana, ed è stato l’inizio di un sodalizio.

«Sono rimasto così commosso dalla loro situazione che ho deciso di tornare ancora e ancora – cinque volte in tutto – a Maranhão», nel tratto occidentale del nord del Brasile dove vivono. L’ecosistema degli Awá-Guajá, assediato dalla deforestazione, è allo stremo. «Sono cacciatori eccezionali, forse gli ultimi del loro genere, ma la loro vulnerabilità – e anche la fragilità della loro esistenza e modo di vivere – sono assolute».
La mostra di Pugliese, con il sostegno dell’Ong Survival International, da tempo impegnata nella salvaguardia del territorio e dei suoi abitanti, è un potente monito contro l’estinzione di un popolo. «Spero che contribuisca a creare consapevolezza sulla situazione di questo popolo. Come l’ambiente in cui vivono, gli Awá-Guajá possono ancora essere salvati».