Joshua Wong, leader delle proteste che nel 2014 diedero vita alla cosiddetta «Umbrella Revolution», è stato rimandato nell’ex colonia britannica dalla Thailandia, dove si era recato invitato a un convegno per parlare della sua esperienza politica.

Le autorità di Bangkok lo hanno fermato in aeroporto e trattenuto per qualche ora chiuso in una stanza, per poi rimetterlo su un aereo di ritorno nell’isola.

I portavoce della giunta che governa la Thailandia hanno specificato che le ragioni di tale rimpatrio risiedono nella volontà di non volere problemi «con altre nazioni», un riferimento neanche troppo velato alla Cina che non ha gradito il viaggio del giovane «dissidente», già protagonista delle manifestazioni contro le ingerenze di Pechino nelle decisioni politiche di Hong Kong.
Joshua Wong ha raccontato la sua esperienza su Facebook; il gesto delle autorità thailandesi conferma una vicinanza tra Bangkok e Pechino, già sperimentata in occasione dell’arresto di uno dei librai di Hong Kong scomparsi un anno fa o nel rimpatrio, effettuato nel 2015, di 109 uiguri in cerca di asilo.

Più in generale la giunta thailandese, come del resto le Filippine di Duterte, sembrano voler cavalcare una supposta alleanza diplomatica con la cina refrattaria e contro ogni ingerenza «occidentale».

Joshua Wong ha raccontato la sua esperienza una volta tornato a Hong Kong, denunciando anche la sua richiesta, disattesa, di poter contattare un avvocato in Thailandia. L’attivista di Hong Kong doveva partecipare a un’iniziativa all’università Chulalongkorn di Bangkok con la quale gli organizzatori volevano ricordare i 40 anni trascorsi dal massacro di studenti (ufficialmente 46, ma più probabilmente centinaia) del 6 ottobre 1976 nella capitale thailandese. Si trattò del fatto che concluse una breve esperienza democratica, completamente rimossa dalla memoria storica nazionale. (s. pie.