La battaglia cruciale per il dopoguerra in Siria non sarà ad Aleppo, dove pure la popolazione è ancora sotto le bombe e ieri si sono contati altri 14 morti, sarà invece quella che sta per deflagrare, con tutte le sue contraddizioni e mutevoli alleanze, nel nord-est della Siria, al confine con la Turchia. Una battaglia decisiva per le sorti del Rojava e dei kurdi, non solo siriani.

Sarà combattuta essenzialmente via terra, come si vede dai cingolati ultimo modello che la Turchia ha ammassato alla sua frontiera. Ma la zona di Hassakah e di Jarabulos, su una sponda e su quell’altra dell’Eufrate, verrà comunque costantemente monitorata e solcata nei cieli dai caccia e dai droni – o meglio Uav, veicoli senza pilota – delle varie forze della frantumata e potenzialmente bellicosa coalizione anti Isis.

Già ieri pomeriggio un caccia russo ha attraversato quei cieli, i cieli di Hassakah, quasi a voler segnalare il trionfo dal punto di vista diplomatico e e geostrategico ottenuto da Mosca. Il Parlamento di Teheran ha alla fine dato disco verde all’utilizzo senza limiti di tempo della base iraniana di Hamdan per le missioni a lungo raggio in Siria contro le postazioni dell’Isis e quindi i voli dei Tupolev-22M3 e Sukhoi-34 potranno riprendere quanto prima. Nel frattempo proprio in una base russa sulla costa siriana, la base di Hmeimin a Latakia, è stato siglato il cessate il fuoco tra i kurdi delle milizie Ypg e l’esercito di Damasco dopo una settimana di scontri a fuoco e il pericoloso incidente dei caccia siriani su Hassakah, fermati dagli americani che combattono al fianco dei kurdi.

Ieri la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha ribadito che Stati Uniti e Russia sono concentratissimi sulla crisi siriana e ha ribadito che Washington deve ancora sciogliere il nodo delle alleanze. «Gli Usa – ha detto alla radio – non sono in grado di dissociare l’opposizione siriana dai terroristi che si annidano in questo rapporto di cooperazione» ed è questo, secondo lei, il problema che fa soffrire i bambini di Aleppo e genera l’insoddisfazione delle Nazioni Unite, rispedendo così indietro le accuse per i raid russi e siriani che continuano a martirizzare i quartieri della città in mano ai ribelli anti Assad.

Ma non sono soltanto gli americani a difendere i kurdi dell’Ygp che invece il premier turco non distingue dal Pkk – «o dal Pjk in Iran», tanto per lisciare il pelo a Teheran – e vede come una unica forza «terrorista» da bombardare. Lo ricordava ieri un lungo e interessante editoriale di Hurriyet, il principale giornale turco, dal titolo «Un nuovo accordo per la Siria?», alla vigilia della visita ufficiale del vice presidente statunitense Joe Biden, atteso proprio oggi dalle massime autorità di Ankara per definire i dettagli dello schieramento di forze in Siria.

L’editorialista turca faceva notare che il Pyd, il partito kurdo moderato di cui i miliziani dell’Ypg sono il braccio armato, opera a Mosca con un suo ufficio. I russi non sono disposti a rinunciare all’appoggio dell’Ypg ad Aleppo e in passato, negli infruttuosi colloqui di Ginevra, hanno fatto pressione finoall’ultimo minuto per inserire la sua rappresentanza politica, il Pyd, tra le forze da ascoltare nelle trattative di pace. La Turchia ha più facilità a far fronte comune con l’Iran contro le rivendicazioni di un Kurdistan autonomo e federato. E infatti l’agenzia iraniana Fars accreditava ieri un fantasmagorico accordo tra i «qaedisti» dell’ex Fronte di Al Nusra e l’Ypg ad Hassakah, a dar man forte alle tesi turche.

Poi ci sono gli americani, sempre più a disagio con l’alleato Nato nell’area. Finora la Turchia non è riuscita a convincere Washington a mollare la cooperazione con l’Ypg. E anche qui la questione riguarda anche la deterrenza. Erdogan utilizza sempre più a suo piacimento la base Nato di Incirlik. Ma gli Usa dispongono da un anno di una propria base logistica a Rimelan, nei dintorni di Hassakah. Quella base è stata materialmente costruita dall’Ypg. E solo Assad ha interesse a toglierla agli Usa. La Turchia lo sa e potrebbe cercare di riportare Damasco sotto l’ombrello delle sue ambizioni neo ottomane. Se Mosca glielo consente.