Everything Precious Is Fragile è il titolo della mostra con cui il Benin farà il suo ingresso in Biennale per la prima volta, attingendo dalla ricca storia del paese africano. Il curatore Azu Nwagbogu in collaborazione con Yassine Lassissi e lo scenografo Franck Houndégla hanno affidato questa narrazione a quattro artisti: Chloé Quenum, Moufouli Bello, Ishola Akpo e Romuald Hazoumè.

«Il titolo del padiglione – spiega la co-curatrice Yassine Lassissi – è nato da una profonda esplorazione dell’antica saggezza Gelede radicata nelle tradizioni della comunità Yoruba Nago (Nigeria, Benin, Togo). Celebra le donne, tanto che le maschere sono realizzate proprio per i rituali in loro onore. L’Unesco ha inserito il «patrimonio orale Gelede» tra i beni immateriali dell’umanità dal 2008. La mostra s’ispira a questa filosofia per rispondere alla fragilità del mondo contemporaneo, segnato da sfide ecologiche, conflitti, disordini politici, disuguaglianze sociali e sconvolgimenti culturali. Ma insieme vuole celebrare anche la rinascita della saggezza tradizionale come mezzo per connettersi con le proprie radici e affrontare i molteplici interrogativi del nostro tempo. Il padiglione del Benin racconterà la storia di questo paese africano negli spazi dell’Arsenale.

Come hanno interpretato gli artisti il culto Gelede?
Nella spiritualità vudù, la donna è considerata una figura catalizzatrice, rappresenta l’inizio e la fine, esercita il potere. Cogliendo questa nozione, i quattro artisti – Moufouli Bello, Chloé Quenum, Ishola Akpo e Romuald Hazoumè – hanno ripreso il tema del femminismo africano, in particolare in Benin, per offrire la loro interpretazione sia della spiritualità vudù (attraverso la filosofia Gelede) che delle vicende riguardanti la tratta degli schiavi e la figura dell’Amazzone. L’omaggio è al ruolo stratificato delle donne nella società beninese e nella narrazione storica del paese, dato il loro apporto predominante nella cultura, nel culto, nella politica e negli affari sociali. Quando parliamo di femminismo africano, ci riferiamo a qualcosa di importante ma anche fragile, dall’antichità fino ai giorni nostri.

Hazoumè inviterà a un’esperienza immersiva; Moufouli Bello proporrà un’installazione che ridà vita alla maschera di Gelede sotto forma di una scultura in vetro, sottolineando la natura preziosa e delicata delle conquiste sociali delle donne; Ishola Akpo guarderà al processo di costruzione delle società tradizionali e contemporanee (dalla spiritualità all’economia) denunciando la rappresentazione sottostimata delle donne nella memoria collettiva; Chloé Quenum si interrogherà sul significato di visione, memoria, trasmissione e radici. La tradizione Gelede è quindi un trampolino di lancio per riaffermare e comprendere il femminismo.

Cosa si può dire delle Amazzoni del Dahomey e quale posto possiamo assegnare alla figura femminile nella politica e nella società di oggi?
Le Amazzoni si riferiscono a un antico reggimento militare tutto al femminile esistito fino alla fine del XIX secolo nel regno di Dahomey. Si trattava di un corpo creato sotto il regno di Tassi Hangbé, unica regina (dal 1708 al 1711). Rappresenta la forza storica femminile che dovrebbe servire come punto di riferimento per le generazioni presenti e future del Benin: sono un simbolo della storia del paese e dei racconti epici di personaggi illustri. Ma in loro alberga anche la possibilità di una riappropriazione identitaria, che si perpetua nel contesto nazionale moderno attraverso il ruolo decisivo svolto dalle donne nella cultura e nella storia del popolo beninese.

Dall’avvento del governo guidato dal presidente della Repubblica Patrice Talon, qualcosa è cambiato in direzione di un’autentica trasformazione della società. Intanto, è evidente una certa dinamica a favore dell’uguaglianza delle donne. Si può citare l’aumento del 18 per cento della rappresentanza femminile nell’Assemblea nazionale e dal 2021 la vicepresidente della Repubblica del Benin è una donna, Mariam Chabi Talata. Il governo sta lavorando poi per combattere la violenza sessuale e i matrimoni forzati e per rendere legale l’aborto. In cammino c’è un intero arsenale istituzionale, legale e operativo. Per esempio, l’Institut national de la femme (Inf) creato nel 2021. Ha ampie prerogative e possiede gli strumenti legislativi per promuovere l’emancipazione femminile nella società e fornire assistenza legale quando qualcuna è vittima di violenza di genere. Sta conducendo campagne di sensibilizzazione su larga scala, utilizzando la comunicazione digitale per diffondere i suoi messaggi. Nella Repubblica del Benin, inoltre, sono state promulgate leggi con disposizioni speciali per punire i reati di genere.

Sono in corso anche importanti investimenti per trattenere le ragazze a scuola e combattere l’abbandono dell’istruzione. Oltre alle misure di esenzione dalle tasse scolastiche, il governo, attraverso il Ministero degli affari sociali e della microfinanza, sta lanciando il progetto Women’s Empowerment and Demographic Dividend (Swedd), che fornisce kit scolastici gratuiti a migliaia di ragazze provenienti da famiglie povere. Il tema scelto per la prima partecipazione del Benin alla Biennale d’arte, Tutto ciò che è prezioso è fragile, non è dunque casuale.

Qual è stato il significato culturale della restituzione del tesoro beninese da parte della Francia?
La restituzione delle 26 opere è stato un potente atto simbolico. Il loro restauro permette al popolo beninese di scoprirle fisicamente e di ricostruire la propria storia sulla base di ciò che gli è appartenuto. Conferisce loro un po’ più di dignità. Le opere erano regalie, provenienti dal moderno Stato del Dahomey, regno potente e prospero che brillava a livello internazionale. Testimoniano l’abbondante ricchezza artistica e culturale del Paese, dimostrando che il genio artistico dei beninesi risale a molti secoli fa. La restituzione ha anche permesso ai giovani di riconnettersi con il proprio patrimonio e agli artisti contemporanei di ricollegarsi all’arte e al know-how del passato. Il governo ha avviato poi un programma di costruzione di strutture culturali per dotare il suo territorio di diversi musei: la Casa della memoria e della schiavitù di Ouidah Cité-Musée; il Museo dei Re e delle Amazzoni ad Abomey (Murad); il Musée International du Vodun di Porto -Novo (Miv) e anche il Museo d’arte contemporanea di Cotonou (Macc).

Quali sono gli elementi che meglio rappresentano la scena artistica contemporanea in Benin?
L’arte contemporanea del Benin trae ispirazione soprattutto dalla sua cultura, storia e tradizione. Negli ultimi anni, la scena creativa si è sviluppata in modo fantastico, con un’effervescenza dovuta al duro lavoro degli artisti, alla solidarietà tra loro e alla trasmissione del sapere (tra anziani e giovani). Ma anche grazie al sostegno di mecenati locali e stranieri – acquisti, investimenti in centri d’arte per favorire gli scambi internazionali attraverso residenze organizzate in Benin o all’estero, borse di studio per una formazione in scuole internazionali, mostre in gallerie estere.

Inoltre, l’avvento dell’attuale governo nel 2016 ha posto le arti, la cultura e il turismo al centro della sua politica di sviluppo. Si va dall’Expo art du Bénin fino a questa prima partecipazione alla Biennale di Venezia 2024.