Il nuovo disco di Nicola Manzan, in arte Bologna Violenta, si chiama Discordia (Overdrive Records) e non potrebbe essere altrimenti, visto l’approccio bellicoso con cui Manzan affronta ogni suo lavoro. Discordia però, a confronto degli altri 4 album, è più accessibile, un grindcore più melodico: «È venuta a mancare la parte di me che dice: devi dare più fastidio! Stavolta mi sono lasciato andare sul fronte melodico, cercando di scrivere delle partiture per gli archi che non fossero un semplice accompagnamento, ma che avessero un senso senza gli altri strumenti. Questo anche grazie all’intervento di Alessandro Vagnoni, batterista e polistrumentista che ha scritto e registrato le batterie su cui poi io ho costruito i pezzi del disco. Ovviamente il fatto che la parte ritmica sia scritta da un batterista fa sì che, nonostante tutto, i pezzi siano più inquadrabili. Prima regnava una sorta di caos ritmico che probabilmente capivo solo io!».

Discordia, come recita il comunicato stampa, ’è ispirato agli esseri umani che dedicano la propria vita a mettersi gli uni contro gli altri per avere poi un unico, comune finale: la morte’: «Quello che ho sempre cercato di fare è raccontare con la musica delle storie che riguardano in qualche modo gli esseri umani e il loro rapporto tra se stessi e il mondo. Da questo si arriva al loro comune denominatore, che è la morte, temuta dai più ed esorcizzata da molti. Partendo da questo presupposto non dovremmo far altro che gestire la vita nel modo più sereno possibile, senza prevaricare il prossimo e senza imporsi per chissà quale stupida ragione. Purtroppo in giro si vede un continuo «tutti contro tutti» anche nelle cose più banali, gente che si lamenta di continuo, litiga nei forum e cerca di fotterti senza pensare che, appunto, basta poco perché finisca tutto».

Quello di Nicola è un genere di nicchia che però raccoglie fan disparati di una scena che cerca di evolversi: «Il mio pubblico è abbastanza eterogeneo, ci sono parecchi giovani ai concerti, ma non mancano delle vecchie glorie dell’hardcore italico o chi segue le avanguardie contemporanee. Sono abbastanza chiuso nel mio mondo ma vedo gruppi validi in giro, con la mia etichetta ho aiutato di recente band che vanno dall’indierock al post-hardcore e che, a mio avviso, potrebbero tutte essere la ’next big thing’.

Il penultimo album, Uno Bianca, musicava in maniera struggente, quanto dura, le stragi della famigerata banda, un’operazione rischiosa: «È stato un disco che ha sconvolto parecchia gente. Già a partire dalla copertina si capiva che non ci sarei andato leggero, il racconto di fatti reali poi aggiunge una buona dose di orrore a una storia di per sé già terribile. La cosa più interessante è che in molti hanno scoperto quelle vicende proprio grazie al disco. Ovviamente alcuni, appena hanno sentito l’odore della polemica si sono buttati alzando un mezzo polverone senza senso. Se da un lato me l’aspettavo, dall’altra forse avevo sottovalutato le conseguenze delle mie scelte. È acqua passata, credo sia un disco che a due anni dalla sua uscita lascia ancora il segno».