Bruxelles abbassa il livello di allerta, ma la tensione scende lentamente. Il Consiglio nazionale di sicurezza, riunito ieri pomeriggio, ha riportato a tre il livello di allerta contro la minaccia terroristica, come nel resto del Paese. Nella capitale era arrivato al massimo: quattro.

LE ORE SEGUITE all’attentato di lunedì sera, in cui sono rimasti uccisi due cittadini svedesi, sono state frenetiche e hanno rappresentato uno shock per la città sede delle istituzioni Ue. Le ricostruzioni hanno portato alla rapida individuazione dell’attentatore, il 45enne Abdesalem Lassoued, che è stato inseguito durante la notte e poi ucciso dalla polizia in un conflitto a fuoco ieri mattina in un caffè del quartiere di Schaarbeeck.

Con un video postato sui social l’attentatore avrebbe giustificato l’atto come vendetta per i musulmani e rivendicato la propria appartenenza all’Isis. Il riferimento esplicito ai «cittadini svedesi» uccisi potrebbe essere connesso – ma si tratta al momento solo di un’ipotesi – alla controversa pratica dei roghi del Corano, che hanno suscitato sdegno nella comunità musulmana. Lassoued ha sparato colpi di kalashnikov contro dei tifosi che vestivano con i colori della Svezia proprio nella sera in cui si sarebbe dovuto svolgere il match europeo di calcio Belgio-Svezia allo stadio Heysel, non lontano dal luogo della sparatoria.

C’È POI UN CAPITOLO che riguarda da vicino il nostro Paese. A quanto si apprende l’uomo è giunto a Porto Empedocle il 26 gennaio 2011. Tre mesi più tardi, dopo un passaggio all’ex Cie di Torino, ottiene un permesso per motivi umanitari. A giugno dello stesso anno è fotosegnalato in Norvegia per richiesta di asilo: attivata la «procedura Dublino», che stabilisce la competenza del paese di ingresso per le domande di protezione, viene fatto rientrate in Italia. Nell’aprile 2014 ricompare a Bologna: rimandato indietro dalla Svezia come «dublinante». Nel capoluogo dell’Emilia-Romagna chiede nuovamente asilo a maggio 2016. Rigettato, finisce nell’ex Cie di Caltanissetta. Da dove esce nel gennaio seguente. L’ultima traccia ufficiale è dell’aprile 2020: l’unità Dublino italiana non dà l’ok al trasferimento per motivi burocratici. Un altro video, su cui sono in corso accertamenti, lo ritrarrebbe a Genova.

La destra ha provato a usare il caso a sostegno delle sue politiche. Il vicepremier e leader leghista Matteo Salvini, sostenuto dal suo partito, ha detto: «Da ministro ho fatto di tutto per stanare le infiltrazioni terroriste e islamiste in Italia, bloccando gli sbarchi, e per questo sono finito a processo».

IN OGNI CASO chiara appare la matrice terroristica dell’atto, rivendicata dallo stesso attentatore. Per alcune ore è rimasta aperta l’ipotesi che l’uomo avesse dei complici, come adombrato dalla ministra degli Interni Annelies Verlinden. «L’ipotesi del lupo solitario sembra quella più vicina alla realtà», ha poi dichiarato in serata il procuratore generale Frederic Van Leeuw in una conferenza stampa a Bruxelles.

In seguito all’attentato, la città è piombata in uno stato di sospensione. Molte persone ieri sono rimaste in smart working, compresi i funzionari delle istituzioni europee che hanno «consigliato» i dipendenti di non andare in ufficio, ridotto gli orari di apertura e chiuso i parcheggi. Tra l’altro in questi giorni, come accade quasi una volta al mese, alcune migliaia di persone che lavorano per l’Ue si trovano non a Bruxelles ma a Strasburgo, in Francia, per la seduta plenaria del Parlamento europeo.

«QUANDO HO APPRESO la notizia, lunedì sera, ero fuori casa e tutte le notizie che arrivavano erano piuttosto confuse. Rientrando ho notato subito che i mezzi pubblici e molti locali erano vuoti». Così racconta Teo, 36 anni, da sei nella cosiddetta «Brussels bubble»: la «bolla» composta dagli expat provenienti da tutta Europa che vivono e lavorano con le istituzioni Ue. Finlandese ma di origine svedese, sottolinea: «Oggi (ieri ndr) i possibili target – chiesa luterana, Ikea ecc – sono rimasti chiusi per sicurezza. Per colpa dell’aggressività dell’estrema destra si è diffusa l’idea che la Svezia sia un Paese ostile ai musulmani», riflette.

«Ho lavorato da casa», racconta Francesca, milanese di 33 anni da poco trasferita a Bruxelles per lavorare nella comunicazione. «Per strada ho visto meno gente del solito – continua – ma in fondo è sembrata solo una giornata meno caotica». Quello che chiede ora la capitale è tornare alla normalità. Da oggi, se possibile.