Dopo giorni di dibattiti agostani sulla destinazione da dare alle risorse della legge di Bilancio (ai pensionati o al pubblico impiego?), il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda spariglia le carte e taglia la testa al toro: niente voci sociali, i soldi vanno concentrati su imprese e competitività. Lo dice in una intervista a Repubblica. Una ricetta che sacrificherebbe ancora una volta, come nota dall’opposizione Sinistra italiana, le fasce più deboli: sull’altare di un auspicato «piano industriale 4.0 per l’Italia», proposto dal ministro, la cui efficacia sarebbe peraltro tutta da verificare. Proteste anche dalla stessa maggioranza, con Cesare Damiano (Pd) che dice no al ventilato “scippo” dei fondi. Ma in questo modo, spiega Calenda, saremmo più credibili nel chiedere flessibilità alla Ue, perché le maggiori poste verrebbero investite sulla crescita e non su generici sostegni al consumo a rischio fallimento. Come hanno fatto flop gli 80 euro, pare ammettere tra le righe il titolare dello Sviluppo economico.

«Se ci presentiamo in Europa e ai mercati con un piano industriale per l’Italia credibile e fondato sullo stimolo agli investimenti e la competitività – dice Calenda – esistono spazi per ottenere quello di cui abbiamo bisogno». Il piano prevederebbe incentivi fiscali all’innovazione, sostegno alla contrattazione aziendale e al salario di produttività, il risparmio energetico per le imprese. Tutti temi carissimi a Confindustria, tanto per fare un nome: il ministro è molto piaciuto alla platea degli industriali, lo scorso maggio, durante l’insediamento del nuovo leader Vincenzo Boccia. I sindacati, i lavoratori e i pensionati dovranno rimanere invece a bocca asciutta.

Calenda lo dice chiaro, traccia senza equivoci una netta priorità, escludendo il capitolo di spese sociali: «Io penso che investimenti e competitività sono i due pilastri attorno a cui costruire la manovra – spiega – Gli stimoli indifferenziati alla domanda non funzionano in un clima di incertezza generalizzata che è destinato a protrarsi. Occorre individuare con chiarezza pochi, precisi driver di crescita su cui concentrare le risorse, spiegando in modo trasparente ai cittadini che i frutti si vedranno nel tempo».

«Calenda ammette, tra le righe ma in modo molto chiaro, che i fondi ricavati dalla flessibilità sono stati sin qui sprecati per manovre propagandistiche e demagogiche come gli 80 euro o l’abolizione della tassa sulla casa – commenta Loredana De Petris di Si – Si parla ancora una volta di incentivi alle imprese in bianco, senza alcun impegno e senza alcun piano strategico. Il governo si prepara a sacrificare ancora le fasce più deboli, i pensionati e i dipendenti del Pubblico impiego in attesa del rinnovo contrattuale».

«Inaccettabile», protesta in una nota il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano. E chiede una presa di posizione del premier Matteo Renzi: «Il governo ha troppe voci che dicono tutto e il contrario di tutto. Renzi, sull’equità e sul rafforzamento della domanda, ha preso degli impegni e deve chiarire l’indirizzo». «Siamo tornati alla riproposizione della vecchia e stantia politica dei due tempi: prima gli investimenti e la competitività e poi l’equità sociale. I lavoratori e i pensionati sono stanchi di aspettare il “sol dell’avvenire”. I sacrifici sono stati fatti abbondantemente: su pensioni, lavoro e blocco contratti».

Damiano conclude chiedendo 2 miliardi per le pensioni: «Adesso – spiega – è giunto il tempo della restituzione per lavoratori e pensionati. Sfugge a Calenda il fatto che, secondo il Def dello scorso aprile, i risparmi che si realizzeranno dal sistema pensionistico da qui al 2050 con le riforme del 2004, 2007 e 2011, ammonteranno a 900 miliardi di euro, vale a dire circa il 40% del totale del debito pubblico italiano? Oppure che i contratti di lavoro pubblici sono bloccati da ormai 7 anni? Se accanto agli investimenti, il governo non sceglierà anche gli interventi sull’equità, sarà inevitabile un conflitto politico e sociale. Noi ci aspettiamo, per le pensioni, una dotazione di base di 2 miliardi di euro ai quali aggiungere le risorse già accantonate del Fondo esodati, di Opzione Donna e dei lavori usuranti».