Bruno Bigoni di professione è un curioso. Prima ancora che regista. Si incuriosisce per le cose che lo appassionano. Così quando trova qualcosa che accende il suo appassionato interesse poi lo trasforma in film per condividere emozioni con altri. Non fa eccezione questo suo nuovo lavoro dedicato a Rimbaud, Chi mi ha incontrato non mi ha visto, presentato al Torino Film Festival e ora a Milano per Filmmaker, dove verrà proiettato domenica alle 17 allo Spazio Oberdan.

Tutto comincia con una strana proposta che arriva da una signora francese. Con aria e toni misteriosi la donna afferma di possedere una foto inedita di Rimbaud all’ospedale La concepcion di Marsiglia, dove nel maggio 1891 gli venne amputata una gamba, episodio che lo porterà poco dopo alla morte. Ma non è questo l’elemento scatenante, bensì il fatto che l’uomo ritratto ha in mano un testo poetico, mai visto. E la scrittura è simile a quella di Rimbaud.

Questo scardinerebbe tutto quanto gli esperti hanno sinora ritenuto assodato, ossia che Rimbaud avesse chiuso da tempo con la poesia. Vero? Falso? Certo è che la signora d’oltralpe vuole una discreta somma di denaro per cedere il reperto. E Bigoni si mette in gioco. Documenta e filma tutto. Dagli incontri al tentativo di rimediare i quattrini per l’acquisto, dai dubbi manifestati da amici e consulenti, alle certezze scientifiche. In realtà, come gli dice la sua produttrice storica Minnie Ferrara, lui ha già deciso: vuole quella foto.

E coinvolge tutti, compreso il figlio, la conservatrice del museo Rimbaud di Charleville, la città natale di Arthur, critici cinematografici e letterari. Un modo originale per parlare di Rimbaud, per riportarlo artisticamente in vita con un approccio singolare che evita il biodocumentario classico, anzi qui si danno già per noti una serie di dati legati alla vita del poeta.

Quel che importa a Bigoni è condividere la passione per la ricerca legata a un oggetto del desiderio. Dove il desiderio in questo caso è Rimbaud, la sua poesia, la sua vicenda unica, capace ancora oggi di riempire la casella della posta di Charleville a lui appositamente dedicata.

Così, il filo conduttore, quella foto di fine ’800, diventa solo il binario che dallo studio di Bigoni ci porta a Charleville lanciando segnali e frammenti, curiosità e poesia con l’intenzione esplicita di far tornare la voglia di rileggere le prepotenti poesie di Rimbaud, di rinfrescare la memoria su una vita stroncata a soli 37 anni eppure così ricca e intensamente vissuta, densa di esperienze uniche e a modo loro straordinarie. Se la definizione di «genio e sregolatezza» ha ancora una qualche possibilità di essere usata Rimbaud è tra coloro che meglio hanno incarnato questa etichetta. Ma, per dirla col poeta e con il regista, «Chi mi ha incontrato non mi ha visto». E allora dovremmo stare più attenti.