Il presidente cinese Xi Jinping è giunto ieri in visita ufficiale in Pakistan, al termine di un periodo nel quale ha inanellato una serie di importanti risultati diplomatici ed economici.

L’ultimo – in ordine temporale – è stato il successo della banca di investimenti a guida cinese, Aiib, capace di attrarre nazioni come la Gran Bretagna, con il conseguente nervosismo statunitense. Il presidente cinese è giunto in Pakistan con una delegazione di membri del partito, del governo e del mondo imprenditoriale ed è stato ricevuto dalle massime cariche del governo e dello Stato pachistano, fra cui il presidente Mamnoon Hussain, il primo ministro Nawaz Sharif, e il comandante delle forze armate, il generale Raheel Sharif.

Xi Jinping, che aveva già in programma il viaggio lo scorso anno (ma fu costretto a rinunciare a causa delle proteste antigovernative in Pakistan) ha portato in dote a Islamabad parecchi miliardi di dollari, 46, in progetti energetici e per infrastrutture. Si tratta di un primo passo decisivo della rinnovata via della Seta e più in generale di somme che gli Usa non sono mai stati in grado di mettere sul tavolo.
È un chiaro segnale, ha scritto il New York Times, della modifica ormai in corso negli equilibri mondiali. L’ascesa cinese e i suoi rinnovati piani commerciali, hanno finito per cambiare tutto il panorama mondiale, hanno scritto sul quotidiano americano, anche in zone un tempo strategiche per la politica internazionale di Washington. La stampa cinese – invece – da giorni sottolinea l’importanza del viaggio del presidente in Pakistan, verso un mondo ormai sempre più multipolare.

Pechino e Islamabad sono storicamente vicine: fin dall’epoca della guerra fredda, il partito comunista scelse il Pakistan (la Russia invece l’India) come paese «amico». Ma la mole di affari tra i due Stati, mai aveva toccato le cifre di cui si parla oggi. Nello specifico, al centro dei colloqui c’è il cosiddetto «corridoio economico Cina-Pakistan» (Cpec), che prevede investimenti per 46 miliardi di dollari. Il «corridoio» è un progetto che consiste in strade, ferrovie e accordi nel settore dell’energia per collegare il porto di Gwadar, nella complicata provincia pakistana del Baluchistan che confina con Afghanistan e Iran, allo Xinjiang, la regione nel nord ovest cinese, abitata dalla minoranza uighura di fede musulmana e lingua turcofona.

Il ministro pakistano per lo sviluppo, Ahsan Iqbal, ha confermato che Pechino e Islamabad sigleranno un accordo per lo sviluppo del corridoio economico. Tutti i progetti saranno realizzati da aziende cinesi, con il chiaro intento di Pechino di allargare il giro d’affari delle proprie società, strette dal mercato interno e chiamate ad assurgere ad un ruolo «globale». Ma non si tratta dell’unica motivazione in ballo. La prima linea guida della Cina è la creazione della «cintura economica della via della Seta», compresa quella «marittima». Gwadar infatti, fornisce l’accesso al mar Arabico ed evita alla Cina di dover far passare i propri prodotti destinati ad altri mercati solo dallo stretto di Malacca. In secondo luogo c’è una motivazione anche politico- strategica. Gli Usa hanno finanziato il Pakistan per lo più sotto forma di fondi destinati alla sicurezza.

La Cina finanzia il commercio e la crescita (il benessere, nelle parole di Pechino) di zone considerate pericolose, tanto in Pakistan, quanto in Cina. L’idea, o forse più la speranza, di Pechino, è che portando una «moderata prosperità» alle regioni pakistane e a quelle turcofone cinesi, si venga a creare una situazione poco florida per gli estremismi religiosi. L’accordo per il corridoio non è l’unico. Lo scambio tra i due paesi non è semplicemente di natura economica e finanziaria. L’interscambio commerciale tra la Repubblica Popolare e il Pakistan – secondo i dati forniti dall’amministrazione cinese – ha superato lo scorso anno quota 16 miliardi di dollari, compresi, secondo quanto trapelato nei giorni scorsi, un accordo del valore di 4-5 miliardi di dollari per la vendita al Paese di otto sottomarini (di cui recentemente hanno lodato le caratteristiche anche importanti riviste militari statunitensi).

Si tratterebbe di una mossa che potrebbe finire per irritare – e non poco – l’India. La Repubblica Popolare cinese è inoltre tra i principali fornitori del Pakistan per quanto riguarda armi ed equipaggiamenti militari ed è anche interessata alla stabilizzazione del vicino Afghanistan dove punta a giocare un ruolo di primo piano. Dopo la tappa a Islamabad, il leader cinese proseguirà la sua missione in Indonesia.