Fabian Torres fa parte della Commissione internazionale del Congreso de lo Pueblos. Un importante movimento colombiano che appoggia i dialoghi dell’Avana, considerato più vicino ai guevaristi dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), una delle due principali guerriglie.
Il governo Santos accelera le tappe per arrivare a un referendum popolare sugli accordi di pace per fine settembre, qual è la vostra posizione?
In questo momento si stanno facendo grandi progressi nei colloqui tra i guerriglieri delle Farc e il governo colombiano di Manuel Santos. Il 23 giugno è stato firmato lo storico cessate il fuoco bilaterale. I movimenti sociali e parte della società colombiana ritengono però che questo processo di pace sia incompleto se non vi partecipa anche l’Eln. Il governo mantiene congelata in forma unilaterale la fase pubblica del negoziato che dovrebbe svolgersi in Ecuador, in base all’accordo sottoscritto da entrambe le parti il 30 marzo scorso. I movimenti sociali celebrano e salutano questo accordo storico, ma lo fanno in modo molto critico perché lo Stato ha risposto solo con la violenza parastatale e ha disatteso tutti gli accordi decisi durante le proteste a cui si vedono obbligate le organizzazioni sociali. In questo momento sono in gioco due modi di portare a termine la pace in Colombia, uno da parte del governo, che chiede pace per il gran capitale e per gli affari dell’oligarchia colombiana, e un altro che si costruisce dal basso, dai movimenti sociali che esigono la soluzione a problemi storici e strutturali a cauusa dei quali il conflitto sociale si è acuito. Il governo chiede solo la smobilitazione delle guerriglie senza che vi siano cambiamenti sostanziali. Inoltre, il popolo esige partecipazione della società civile, troppo ridotta negli attuali dialoghi dell’Avana. Altro obiettivo, molto importante, è che lo stato smantelli la sua forza parastatale e le bande narcoparamilitari che minacciano il libero esercizio dell’opposizione politica nel paese e che stanno crescendo nel territorio nazionale, questo in termini di garanzie per una possibile partecipazione degli insorti nella politica pubblica del paese.
Negli ultimi mesi vi sono stati forti movimenti di protesta, con quali risultati e prospettive?
In Colombia, non passa giorno senza che vi sia una lotta sociale. C’è sempre fermento e dissenso verso uno Stato che per decenni ha lasciato da parte il suo obbligo di fornire, come stato di diritto, un minimo di garanzie e di benessere alla popolazione. Le cifre della tragedia colombiana parlano di circa 8 milioni di persone sfollate a causa del conflitto interno, più di 18 milioni di disoccupati, più di 9.000 mila prigionieri politici che, insieme a centinaia di migliaia di detenuti soffrono condizioni disumane di sovraffollamento e di maltrattamento. Il 52% della terra è nelle mani dell’1,15% di latifondisti, per menzionare solo alcune cifre. Tutto questo in un paese con più di 47 milioni di abitanti e che, nonostante il dolore e la tragedia continua a lottare con la speranza che in Colombia si costruisca un nuovo paese di pace per tutta la sua gente. Attualmente i movimenti sociali in Colombia sono protagonisti del particolare momento politico che vive il paese. Hanno fatto proposte concrete di cambiamenti strutturali necessari per la realizzazione della democrazia, della sovranità, dell’uguaglianza, per la giustizia sociale e per una vita degna del popolo colombiano. Lo scorso giugno si è tenuta una forte giornata di mobilitazione e di protesta in tutto il territorio colombiano, convocata dalla Cumbre Nacional Agraria, contadina, etnica e popolare, in cui confluiscono numerose organizzazioni sociali e movimenti popolari nei settori sociali del paese, come Congresso dei popoli, l’organizzazione indigena della Colombia (Onic), il Proceso de Comunidades Negras (Pcn), Marcha Patriotica, tra gli altri, più altri di carattere regionale. Questi movimenti sono scesi in piazza per chiedere al governo Santos di rispettare gli accordi realizzati con la Cumbre negli anni 2013 e 2014, frutto di scioperi nazionali, che non ha rispettato, offrendo come unica risposta la violenza. Inoltre, hanno proposto soluzioni strutturali contro il modello economico imposto da Santos per ottenere la fiducia degli investitori stranieri e aumentare l’estrattivismo, in cui si continua a svendere risorse naturali al grande capitale transnazionale. I movimenti sociali in Colombia stanno acquisendo una visione strategica nella lotta contro questo modello. Un modello che, come ha chiarito il presidente colombiano alle guerriglie, non è in discussione. Ma la Minga Nacional è contro questo modello di morte, miseria e oppressione e propone punti di negoziato anche più radicali di quelli avanzati dalle guerriglie. E si scontra con una politica repressiva, di guerra e di assassinii,anche mentre il governo dialoga con la guerriglia delle Farc e decide un cessate il fuoco bilaterale.
Molti leader popolari di Marchia Patriotica e del Congreso de los Pueblos sono stati uccisi. Quali garanzie chiedete perché non finisca in un massacro simile a quello subito dalla Union Patriotica negli anni ’80?
Come hanno riportato le organizzazioni per i diritti umani, solo per quanto riguarda quest’anno, sono circa 35 i leader sociali assassinati. Nello sciopero di giugno, sono stati assassinati 3 leader indigeni del Congreso de los Pueblos dalla polizia e dall’esercito colombiano. Lo scorso 12 luglio è stato ucciso dalla polizia un giovane manifestante durante lo sciopero dei trasportatori e dei camionisti nella regione di Boyacá. Minacce, persecuzioni, esecuzioni extragiudiziali, sono in aumento nonostante i colloqui di pace. Marcha Patriotica denuncia che da quando si è fondato il movimento, nel 2012, sono già oltre 105 i militanti assassinati. Per questo rivolgiamo un appello internazionale a denunciare lo Stato colombiano che non consente le garanzie per l’esercizio politico, la difesa dei diritti umani, il diritto sindacale, quello della libertà di espressione e associazione.
Quali ripercussioni avrà il ritorno delle forze conservatrici in America latina?
Dall’anno scorso, come Coordinamento Continentale dei movimenti sociali verso l’Alba, di cui facciamo parte come Congreso de los Pueblos e Marcha Patriotica insieme ad altre organizzazioni sociali in Colombia, abbiamo iniziato una campagna che si chiama “La pace in Colombia è la pace del continente”, per riunire e rendere visibili le azioni di solidarietà negli altri paesi fratelli del Latinoamerica, perché altri si aggiungano e appoggino questa causa. Un’azione importante nel momento in cui l’imperialismo nordamericano vuole tornare egemone nel nostro continente. Da qui, la destabilizzazione del Venezuela, il golpe istituzionale alla presidente Dilma in Brasile e i passati golpe in Honduras e Paraguay. Quest’avanzata dell’estrema destra in America Latina e nel mondo deve essere contrastata con la costruzione del potere popolare nelle strade e con un’unità molto forte che assuma dimensioni continentali.