Chiara Colosimo, la meloniana di ferro presidente della Commissione antimafia, giura che niente sarà lasciato al caso. «Il nostro obiettivo è capire se oltre quello che è già emerso, c’è un altro tipo di infiltrazione, ancora più profonda e se la politica è tutta colpevole, nel senso che maggioranza e opposizione hanno fatto finta di non vedere».

Parla di Bari, della sua versione bonsai di tangentopoli che si è scatenata nelle ultime settimane e del lavoro che attende i parlamentari della sua commissione, che tra le altre cose prima o poi ascolteranno sia il sindaco di Bari Antonio Decaro sia il governatore della Puglia Michele Emiliano. Intanto la commissione ha già ricevuto almeno due fascicoli dalla procura di Bari: gli atti dell’inchiesta «Codice interno» (130 arresti tra cui la consigliera comunale Maria Carmen Lorusso) e quelli dell’inchiesta che vide coinvolto (e presto archiviato) proprio Decaro, tirato in ballo dal pentito Nicola De Santis, ex autista all’Amtab, che aveva raccontato agli investigatori di un presunto incontro tra il sindaco di Bari e Massimo Parisi, fratello del boss Savino. Le affermazioni di De Santis, però, non hanno mai trovato riscontri di alcun genere e per questo Decaro è stato in breve tempo archiviato.

In tutto questo, a Bari, le indagini sui giri di affari e di favori elettorali vanno avanti: ieri i fratelli Pisicchio hanno sfilato davanti alla giudice Ilaria Casu, che la settimana scorsa per loro aveva disposto gli arresti domiciliari per l’accusa di aver pilotato finanziamenti regionali verso alcune imprese in cambio di assunzione di familiari e militanti politici, il tutto attraverso polizze fideiussorie false fornite da un sedicente broker di Monopoli, Cosimo Napoletano.

Enzo Pisicchio in mattinata si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre suo fratello Alfonsino si è lasciato interrogare e si è dichirato estraneo ai fatti contestati. Per la procura di Bari, Alfonsino Pisicchio, quando era assessore regionale, avrebbe alterato una gara da 5 milioni bandita dal Comune per la riscossione dei tributi in favore dell’imprenditore Giovanni Riefoli (ai domiciliari anche lui) ricevendo poi in cambio 50mila euro e alcune assunzioni.

Alla giudice Casu, Pisicchio ha detto di aver avuto «informazioni sull’esito della gara» e di essersi poi «solo premurato di indicare alcuni soggetti che avevano necessità di occupazione, per verificare se ci fosse la possibilità che si sottoponessero a un colloquio informativo» in modo da ottenere un posto di lavoro «con l’azienda che si è aggiudicata la gara». Nei prossimi giorni gli avvocati dei fratelli Pisicchio chiederanno la revoca degli arresti domiciliari, anche in considerazione del fatto che parliamo di storie che si sono consumate ormai diversi anni fa, cioè tra il 2016 e il 2019.