Sostengono alcuni deputati, specie Nella minoranza del Pd che ieri ha votato sì al jobs act, che «con lo statuto dei lavoratori riformato i tre operai di Melfi sarebbero ancora reintegrati al loro posto». Il riferimento è a una famosa vicenda del 2010: tre operai della Fiom – Antonio Lamorte, Marco Pignatelli e Giovanni Barozzino, oggi senatore di Sel – furono licenziati dalla Fiat di Marchionne con l’accusa aver bloccato, durante uno sciopero interno, un carrello per il trasferimento di materiali diretto verso chi non scioperava. Una dura battaglia legale dimostrò che l’accusa era falsa. Nel settembre 2013 i tre furono reintegrati definitivamente, dopo una reintegra virtuale in cui l’azienda non consentiva loro di riprendere le postazioni sulla linea di produzione.
Dunque con il nuovo jobs act è vero che i tre tornerebbero ancora in azienda? E cioè è vero che la minoranza Pd ha ottenuto, su questo punto, un concreto avanzamento del testo? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Alberto Piccinini, giuslavorista del Foro di Bologna, legale di fiducia di Fiom e Cgil. Nonché, all’epoca, difensore dei tre.

Avvocato, con il nuovo testo dello statuto lavoratori un caso simile a quello dei tre di Melfi

finirebbe ancora con una reintegra?

Non vedo sulla base di cosa lo si possa sostenere.

La genericità della formula non consente ancora di capire come verrà modificato l’art.18. Poi il riferimento è poco pertinente: la reintegra dei tre di Melfi in prima battuta è arrivata in base all’art.28 dello statuto, quello sul comportamento antisindacale del datore. I licenziamenti sono stati in occasione di uno sciopero e hanno riguardato (solo) due delegati e un iscritto Fiom su oltre cinquanta persone presenti sul posto. Poi, ma solo in seconda battuta, abbiamo chiesto e ottenuto la reintegra anche sulla base dell’art.18. Ma mi viene da dire che se fosse già stato in vigore l’art.18 riformato dalla legge Fornero i tre avrebbero corso il rischio di ottenere solo un risarcimento economico. Figuriamoci con le ulteriori restrizioni che si vorrebbero introdurre col jobs act.

Quindi i tre potrebbero comunque ancora essere reintegrati in base all’art.28 dello statuto?

L’art.28 è una norma generale, parla di comportamenti che limitano l’attività sindacale o il diritto di sciopero, e come tutte le norme generali, comprese quelle che definiscono la giusta causa e il giustificato motivo, consentono al giudice un esame del caso concreto: quello che il governo vorrebbe limitare, quantomeno rispetto ai licenziamenti per motivi cosiddetti “economici”. La risposta è comunque affermativa . Quanto alla nostra seconda causa, quella ai sensi del vecchio art.18, come ho detto, nessuno è in grado di dire cosa accadrebbe oggi con un testo che ancora non conosciamo, considerando che già con il testo della Fornero ci sono interpretazioni contrastanti.

Dal momento in cui il jobs act sarà legge nei luoghi di lavoro alcuni avranno diritto alle residue tutele della legge Fornero, altri no.

Sarà una gran confusione. La legge delega prevede che il nuovo art.18 si applichi solo nei contratti a tutele crescenti. Quindi negli stessi luoghi di lavoro noi avremo nuovi assunti con tutele inferiori a quelli al loro fianco che magari svolgono le stesse mansioni. E questo per sempre: perché le tutele crescenti non arriveranno mai a un’equiparazione con i vecchi assunti. Per un periodo di 10-15 anni nei luoghi di lavoro ci sarà un doppio regime che discriminerà le persone che lavorano fianco a fianco, e non sotto il profilo economico, cosa che in qualche azienda può già accadere, ma sotto quello normativo. Una grave ingiustizia, e forse anche con conseguenze sul profilo di costituzionalità.