All’Area Sismica sono abituati alle grandi imprese. Di solito in campo di musiche elettroacustiche, impro total, ultra-jazz. Cose così. Se si mettono d’impegno riescono benissimo anche in campo di musiche di provenienza «dotta» contemporanea. Infatti il concerto inaugurale del Festival 2016 di questo tipo di musiche, tutte italiane, è già storia. Un trio di spiriti intelligenti, Antonio Caggiano, percussioni, Fabrizio Ottaviucci, pianoforte, Gianni Trovalusci, flauti, denominato Alma, posa lo sguardo su lavori in vari modi ispirati al criterio dell’aleatorietà. Sceglie autori della generazione passata che si rivelano più avanti di chiunque.

L’evento c’è tutto. C’è la scoperta di una «corrente» italiana che ha sfornato prodotti ad alto tasso rivoluzionario. L’alea, il caso come modo di intendere ragionato/scapestrato le successioni di suoni, è una risorsa preziosa. E i tre ne usano a piene mani. Il compositore in scaletta più aperto a lasciare spazi all’improvvisazione degli strumentisti è Sylvano Bussotti, con due titoli: Autotono, un divertimento (1986) e Coeur pour Batteur (1959). Però è anche quello da cui si sente arrivare un soffio speciale di autorevolezza.

Autorevolezza e trasgressività. In Autotono, versione per trio, Bussotti prende esempio dal free jazz, elabora vorticosamente e con grazia una quantità infinita di elementi-clou delle avanguardie sonore. E ci mette il suo impareggiabile edonismo. Ordina: divertitevi, perdetevi nel gioco senza regole! Azzardato e sensuale anche in Coeur, solo Caggiano in scena. Scrittura rigorosa e liberissima, battiti variegati senza fine, sogni di un vibrafono-carillon.

Ottaviucci da solo al piano esibisce un sensazionale Inner Cities 5 (1999) di Alvin Curran. Dapprima il pezzo è tutto fatto di velocissimi fraseggi «muti», le dita scorrono sulla tastiera senza emettere suoni, poi alcuni spezzoni di frasi emergono come per caso dalla corsa paradossale, poi le frasi, chiaramente jazzistiche, diventano «vere», si ascoltano come qualcosa di compiuto. Trovalusci da solo affronta Proporzioni (1958) di Franco Evangelisti. Che dire? Quando l’avanguardia è avanguardia e si prova un grande piacere a pronunciare questa parola. Cerebrale e spregiudicato. Ci regala trilli epidermici e improvvisi violenti superacuti.

Il trio Alma  traduce i Segmenti per voce sola di Demetrio Stratos in folli polifonie strumentali ma non tralascia di introdurre la recita con gli originali vocalizzi rumoristici-biologici dell’autore e di inscenare gag teatrali dada-futuriste. Scopre un incantevole Walter Branchi del 2010 che in Looking South-West segue un itinerario melodico e armonico fatto di piccoli nuclei sospesi, intarsi, rimandi, silenzi magici. Esalta il Marcello Panni di Bis! (1981), tutto «in punta di penna», leggero e penetrante. Che cosa lega il concerto di Alma a quello della sera dopo tenuto dal pianista Francesco Prode? Intanto un nome: quello di Franco Evangelisti. Le sue Proiezioni sonore (1955-’56) sono potenti, da battaglia. Un webernismo dei suoni isolati che diventa violento, folgorante. Prode riprende … sofferte onde serene… (1976) di Luigi Nono e si confronta con la parte di nastro registrata a suo tempo da Maurizio Pollini. Di solito addolcisce la sua parte dal vivo in colloquio discordante con l’aspro collega. Stavolta nel corpo a corpo diretto risponde colpo su colpo e si veste da guerrigliero della musica anni ’70.

La terza sera è ancora radicalità. Area Sismica non dà tregua. E scoppia il «caso Coluccino». Il cinquantatreenne compositore Osvaldo Coluccino è protagonista del concerto dell’Ex Novo Ensemble. In tre brani del suo ciclo di Emblemi, scritti tra il 2009 e il 2015, due in prima assoluta, agisce con tenui suoni lunghi ai confini del silenzio, suoni appena modulati, ma con una sorta di esitazione, solo per accennare l’oscillazione melodica possibile.

Forse sta in un ultramondo, forse intende far circolare in questo mondo l’intelligenza estrema e una inconciliabile discrezione. Gli fanno da gustosissimo contorno lavori di Giacomo Manzoni, Renato Miani, Giacinto Scelsi, Bruno Maderna. Svetta Maderna col suo celebre Widmung per violino solo. Quello è davvero un altro mondo.