Nei paesi di area subsahariana, la stampa riporta con regolarità episodi qualificati come atti di stregoneria e crimini a sfondo rituale. Un rapporto dell’Unicef – curato da Aleksandra Cimpric nel 2010, per l’Ufficio regionale dell’Africa occidentale e centrale (Braoc) – sottolinea che il ricorso a tecniche diaboliche non è più connesso a pratiche segrete o legate al non-detto, ma si manifesta in ogni settore dell’esistenza collettiva e individuale, divenendo una categoria di riferimento banalizzata e di uso permanente.

Con l’affermarsi di una modernità all’insegna del capitalismo e dei suoi valori, la stregoneria si è trasformata in un «prodotto disponibile sul mercato», il cui potere di attrazione cresce grazie ai sacrifici umani, che vedono quali vittime, in prevalenza, bambini di ambo i sessi, cioè le creature più innocenti e fragili. Oggigiorno, tutto diviene merce: dagli amuleti, ai gris-gris (feticci di protezione), sino alle pozioni o polveri magiche; e sovente, oggetti di questo genere sono fabbricati a partire da organi viventi (animali, ma non solo).

Statistiche sull’incidenza del fenomeno non esistono, ma la ricorrenza delle voci e dei ritrovamenti di cadaveri mutilati solleva il velo su una realtà dai risvolti drammatici. Bisogna qui precisare che tale situazione nulla, o quasi, deve a retaggi ancestrali, ma s’inserisce nella attualità urbanizzata dei singoli stati, emersi con le indipendenze post-coloniali. Qualche esempio basta per dimostrarlo.

L’Alcr (Association de Lutte contre les Crimes Rituels) ha repertoriato, in Gabon, 138 omicidi rituali commessi fra il 2010 e l’inizio del 2012, ai danni di minori. Il presidente di tale organizzazione, nata in difesa dei diritti fondamentali, Jean Elvis Ebang Ondo, è il padre di un ragazzino dodicenne, rapito a Libreville nel 2005, insieme a un compagno di scuola, e poi ritrovato, come l’amico, ucciso e mutilato (i due corpi erano stati privati dell’apparato sessuale, degli occhi, della lingua e il loro sangue era stato completamente aspirato dalle vene). Jean Elvis Ebang Ondo distingue tre categorie, che la gente del luogo chiama in causa, rispetto a gesti tanto estremi: i sacrifici effettuati nell’ambito di riti d’iniziazione, fra cui il celebre Bwiti; quelli situabili nel quadro familiare e della credenza al vampirismo; infine, quelli ordinati dalle sette clandestine (in particolare la società degli «uomini-leopardo»).

L’implicazione di figure eminenti, come esponenti politici e imprenditori economici, che costituiscono l’utenza privilegiata per chi si dedica a pratiche magico-rituali illecite, spiega l’impunità generalizzata dei crimini, i cui autori di rado sono smascherati. Presso «gli specialisti in materia», l’acquisizione di feticci umani, in grado di assicurare ai detentori potere e successo, risulta estremamente onerosa e il loro possesso è pertanto accessibile, in via esclusiva, a individui di ceto benestante. Questi sembrerebbero motivati, nella loro esasperata e superstiziosa ricerca di «protezione a livello esoterico», tanto dal desiderio di accrescere la propria influenza, quanto dal timore di perderla, per l’azione malevola di nemici non identificabili con chiarezza. Sarebbe dunque il riferimento ad una dimensione «invisibile e impalpabile», ma suscettibile d’incidere sul destino umano, che conduce dei cittadini integerrimi a rendersi complici delle azioni nefaste commesse da chi fornisce loro gris-gris ed esegue sacrifici raccapriccianti.

Le recenti vicende politiche del Mali offrono un quadro eloquente in merito: la campagna elettorale per le presidenziali dell’agosto 2013 si è distinta per l’ampio coinvolgimento di marabutti e stregoni feticisti. In un articolo pubblicato il 19 luglio 2013 dal quotidiano Les Échos, Facon Donki Diarra constata che «sarebbe suicidario, per qualsiasi candidato, sottovalutare le competenze delle forze occulte, anche perché, nella stragrande maggioranza, gli elettori vi credono… Non vi è un solo candidato che non abbia il suo marabout, féticheur o geomante. Nella mente di molti, la vittoria risulta impossibile senza il coinvolgimento di tali personaggi». Analogo, il commento della giornalista Aminata Traoré, che sulla stessa testata nazionale scrive: i sacrifici umani «sono una realtà, in Mali, e non un mito. Il corpo umano è utilizzato per acquisire il potere e conservarlo a lungo. La carica di presidente della repubblica esige che tutte le parti (delle vittime, ndr) e, in special modo il sangue umano, siano utilizzate… i marabouts (che, secondo informatori anonimi, presiedono ai riti. ndr) non dicono mai di no a un “lavoro” e, in genere, lo eseguono in cambio di denaro».

Segnalazioni relative a bambini scomparsi – durante i periodi che precedono le elezioni – sono frequenti pure in Senegal, ma rimane sporadico il ricorso alle autorità giudiziarie, per paura di rappresaglie sui parenti, in quanto nessuno ignora gli appoggi di cui godono, in loco, i marabouts artefici dei rapimenti a fini rituali. Va notato che il termine marabout designa, in origine, personalità religiose versate nella conoscenza del Corano e degli obblighi connessi alla fede islamica, ma – nella cultura popolare – si riferisce piuttosto a individui dotati di poteri straordinari, iniziati a pratiche occulte dette maraboutages. Il vocabolo ha assunto, in Africa occidentale, una valenza che travalica l’ambito musulmano, sino ad indicare chiunque si dedichi a tecniche diaboliche e sia capace di comunicare con l’universo dei geni invisibili (jinn).

Nella convinzione generale, i marabutti-stregoni disporrebbero di saperi che permettono loro di superare limiti invalicabili ai profani e di assumere i rischi legati al contatto diretto con gli spiriti, sino ad avviare una sorta di negoziazione, per soddisfare le aspettative di una clientela persuasa, al termine della procedura, di ottenere manufatti magici che la metterebbero al riparo da ogni difficoltà.

Certo, ci si può interrogare sul perché l’appello alla stregoneria rimanga un elemento caratterizzante nelle società odierne. La modernità non ha offerto un’occasione di riuscita per tutti, finendo per esacerbare la disparità. Nelle metropoli, i poveri vivono accanto alle élites che hanno beneficiato dello sviluppo, e la frustrazione per l’impossibilità di conseguire i medesimi agi colpisce con violenza l’immaginario di quanti, ormai, hanno consapevolezza di ciò a cui devono rinunciare, per mancanza di mezzi. Dal canto loro, i ceti abbienti si confrontano, nel quotidiano, con la miseria dei più e l’inquietudine per un improvviso voltafaccia della fortuna sorge inevitabile. È dunque forte la tentazione di appoggiarsi a strumenti volti ad abbattere gli ostacoli oppure ad innalzare barriere di salvaguardia…

Una veste peculiare del fenomeno della stregoneria è poi riscontrabile nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), la cui capitale, Kinshasa, riflette la realtà di uno stato nel quale i 2/3 degli abitanti vivono al di sotto della soglia di povertà, subiscono il peso di una modernità fatta di precariato e soggiacciono a rapporti sociali letti in chiave magica, magari regolati con l’invocazione delle forze invisibili.

Kinshasa brulica di bambini di strada (20.000-30.000). In larga misura, si tratta di piccoli allontanati dalle famiglie con l’accusa di essere degli enfants-sorciers, dei bambini-stregoni. Posseduti da presenze diaboliche e, almeno secondo il loro entourage, portatori di disgrazie, molti di questi minori hanno subito veri e propri interrogatori, accompagnati da terapie di esorcismo, sotto l’egida di preti o capi spirituali delle nuove Chiese evangeliche. Il fallimento di tali percorsi di cura, volti ad arginare il male che si anniderebbe nei ragazzini, induce i genitori, timorosi che la presenza in casa di un enfant-sorcier porti sventura, ad abbandonarli ad un destino di vagabondaggio e delinquenza.

Studioso del problema da anni, Filip De Boeck spiega, in un articolo apparso sulla rivista Politique africaine n. 80, che «l’infanzia, come opus operatum e modus operandi di crisi e rinnovamento diviene il luogo identitario dove si manifestano le rotture di un’Africa in transizione. In quanto parte integrante di una mutazione più ampia… i bambini e gli adolescenti si situano, dunque, alla frontiera, nel configurarsi di geografie d’inserimento ed esclusione, private o pubbliche». Insomma, i minori divengono i catalizzatori di un disagio collettivo profondo di cui non sono responsabili, ma che sembra sfruttare la loro condizione indifesa per esprimersi e, addirittura, per trasformarli in «oggetti da immolare».