A osservarla dal presente, la circolazione culturale dell’entre-deux-guerres non smette di stupire. Incroci, intrecci, incontri ben più articolati di quanto lascerebbe supporre la divisione ideologica dell’Europa o la nettezza delle sue lotte politiche, e che richiedono una paziente opera di ricostruzione per evitare le semplificazioni delle letture prosopografiche e gli anacronismi di quelle a sfondo polemico e scandalistico.
Tra i nomi che non ci si aspetterebbe di trovare collegati, vi sono quelli di Sigmund Freud e di Benito Mussolini. A unirli, è una dedica che il padre della psicoanalisi appone – prima di inviarla al duce del fascismo – su una copia dell’ultimo libro pubblicato: Warum Krieg? (Perché la guerra?), il carteggio sulla guerra intrattenuto con Albert Einstein su sollecitazione del Comitato permanente delle lettere e delle arti della Società delle Nazioni. «A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà. Vienna, 26 aprile 1933»: una frase impegnativa, che ha occupato i biografi e gli esegeti del medico viennese fin dagli anni cinquanta e che viene periodicamente riproposta dai suoi detrattori come presunta testimonianza di simpatie filofasciste o di un più generico opportunismo (venato di qualunquismo) che ne avrebbe caratterizzato il rapporto con i potenti. L’omaggio di Freud, in realtà, non rappresenta un gesto gratuito. È la risposta a un dono del drammaturgo italiano Giovacchino Forzano, in visita a Vienna con la figlia e il suo psicoanalista Edoardo Weiss, che ha chiesto al maestro una consulenza su alcuni punti controversi della relazione terapeutica con la propria paziente: un esemplare della traduzione tedesca della tragedia Campo di maggio, dedicato dai suoi autori (Forzano e Mussolini) «a Sigmund Freud, che renderà migliore il mondo, con ammirazione e riconoscenza, Vienna, 26 aprile 1933».
Restituito al contesto, il comportamento di Freud risulta meno compromettente che a una lettura estemporanea, come quella condotta con propositi diffamatori da Michel Onfray in Le crépuscule d’un idole. L’affabulation freudienne (Paris, Grasset, 2010). È quanto sostiene Roberto Zapperi (Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista, Milano, Franco Angeli, pp. 140, euro 18), che dello scambio di libri avvenuto nello studio in Berggasse 19 ricompone puntualmente la storia, avanzando preziose riflessioni sulla cultura politica dell’autore dell’Interpretazione dei sogni e, al tempo stesso, sull’attitudine del regime fascista nei confronti della psicoanalisi. La dedica a Mussolini rinvia, in primo luogo, ai limiti e alle incongruenze dell’orientamento liberal-conservatore del suo estensore, oscillante tra la preoccupazione di attenuare il significato pacifista del volumetto scritto assieme a Einstein e l’intenzione di valorizzare la protezione offerta dall’Italia al cancelliere Dolffuss, al cui orientamento antisocialista Freud affida illusoriamente il compito di salvaguardare l’indipendenza del proprio paese natale dalle mire annessionistiche di Adolf Hitler e dai colpi di mano dei nazisti austriaci.
Se messe in relazione con la profonda diffidenza con cui il fascismo guarda al movimento psicoanalitico internazionale e ai suoi esponenti italiani, le parole rivolte al capo del fascismo suonano – in secondo luogo – come un tentativo di non nuocere ai propri discepoli e ai propri colleghi oltre frontiera; tentativo fallimentare, dal momento che non riuscì a evitare né la condanna delle teorie sul modo di essere inconscio della mente né l’ampliamento e l’aggressività del fronte antifreudiano, saldamente capitanato dal gesuita Pietro Tacchi Venturi, né, ancora, l’emissione (all’inizio del 1930, da parte della Questura di Roma) di un vero e proprio mandato di cattura contro Freud, «elemento sospetto da rintracciare e da fermare» in caso di permanenza o di passaggio sul suolo italiano.
Roberto Zapperi ci parla, infine, di un terzo ordine di motivazioni che influiscono sulla postura dello psicoanalista viennese: la potenza e l’ascendente ad ampio raggio del mito di Mussolini, che esercita il proprio potere di fascinazione tra gli intellettuali e gli artisti di tutta Europa e trasversalmente agli schieramenti o alle appartenenze di partito. Il carisma del capo: contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare da un pensatore abituato al linguaggio e alla temporalità del mito, nemmeno Freud ne è immune, pur non nutrendo alcuna simpatia per il progetto politico e per le istituzioni fasciste o la benché minima volontà di trattare, da ebreo, per la propria salvezza o destino individuale.
Personalità lungimirante e rivoluzionaria, egli rimane un uomo profondamente ancorato al proprio tempo; un uomo a cui è possibile imputare una visione conservatrice ed eccessivamente semplificante della politica ma non inclinazioni trasformistiche e collusioni con il totalitarismo fascista, che – in patria come all’estero – ne ha rappresentato un irriducibile avversario e un convinto persecutore.