Nelson Mandela, il «comunista più pericoloso al mondo al di fuori dell’Unione Sovietica», uno che «andava fermato e io l’ho fermato» prima di dar vita a «una rivoluzione che avrebbe aperto la strada» a un «intervento russo»: parola di spia. Dell’ex spia della Cia Donald Rickard, operativo a Durban – Sudafrica – come agente dei servizi segreti americani fino al 1978 e in veste di vice-console americano all’epoca della presidenza Kennedy.

A fornire l’occasione per riaprire la querelle sul credo comunista del leader sudafricano antiapartheid e rivelare la longa manus dell’intelligence americana durante gli anni vergognosi del regime segregazionista sudafricano, è stato un film presentato in questi giorni al festival di Cannes – Mandela’s Gun – sul periodo precedente l’arresto di Nelson Mandela nel 1962.

Intervistato dal regista britannico John Irvin poche settimane prima di morire, Rickard avrebbe confermato l’ipotesi che alcuni quotidiani avevano già fatto trapelare nei decenni scorsi: e cioè che dietro la cattura di Mandela ci fosse una soffiata della Cia all’intelligence sudafricana. Nello specifico, le rivelazioni dell’agente Rickard sul posto e l’ora in cui la polizia avrebbe potuto intercettare Mandela, allora alla testa dell’ala armata dell’African National Congress (Anc), l’Umkhonto we Sizwe (Spear of the Nation, una sorta di joint venture tra l’Anc e il Communist Party), formato da non più di qualche centinaia di membri con accesso a tutte le risorse del Communist Party e alle sue connessioni internazionali.

Le rivelazioni di John Irvin affidate al Sunday Times hanno dato il via – come c’era da aspettarsi – a un carosello mediatico in tutte le lingue. In realtà la notizia non è tanto il fatto che Mandela 54 anni fa sia stato arrestato grazie alla cooperazione in auge tra le intelligence dei due Paesi, quanto che ad ammetterlo sia stato proprio un ex-agente della Cia, esattamente quell’agente che praticamente passò l’informazione ai colleghi sudafricani diventando l’artefice di quella cattura. E sulle cui dichiarazioni finora la Cia non si è ancora espressa.

Nell’agosto del 1962 Nelson Mandela fu catturato dalla polizia mentre viaggiava in macchina tra Durban e Johannesburg. Sui suoi legami con l’Umkhonto e sulla campagna di sabotaggio contro il governo sudafricano dell’apartheid, le autorità che gli davano la caccia potevano vantare non più che sospetti.

E infatti la Corte poté solo incriminarlo di incitazione dei lavoratori africani a scioperare illegalmente e di aver lasciato il paese nei mesi precedenti senza un valido documento di viaggio e condannarlo a 5 anni di reclusione. Verrà accusato di sabotaggio e condannato al carcere a vita solo successivamente al raid presso la Lilliesleaf Farm, quartier generale dell’Umkhonto we Sizwe per la lotta contro il regime segregazionista.

Come raccontava già nel 1986 dalle colonne del New York Times Andrew Cockburn, «il suo arresto è avvenuto a seguito di una soffiata della Central Intelligence Agency alle autorità». Citando quanto riportato dai locali The Johannesburg Star e CBS News, Cockburn raccontava che «Mandela era in viaggio per incontrare un ufficiale della Cia che stava lavorando per il Consolato Usa a Durban, la capitale del Natal. Invece di partecipare alla riunione, l’uomo della Cia disse alla polizia esattamente dove e quando poteva essere trovato l’uomo più braccato del Sudafrica». Tutto terribilmente in linea col fatto che «alla fine degli anni ‘60, la Cia forniva consulenza e assistenza nella creazione del famigerato Bureau of State Security».

Quanto alla fede comunista di Mandela, questi non ne ha mai fatto alcuna ammissione. A rivelarla per la prima volta sono stati invece il South African Communist Party (Sacp) e l’African National Congress (Anc) nel dicembre del 2013 il giorno dopo la sua morte: «Al suo arresto nell’agosto del 1962, Nelson Mandela non era solo un membro dell’allora clandestino South African Communist Party, ma era anche un membro del Comitato Centrale del Sacp».