Gli studenti del City College di New York hanno allestito un accampamento nel loro campus di West Harlem, unendosi agli studenti della New York University, della Columbia e delle università di tutto il Paese, per protestare contro la guerra tra Israele e Hamas. Con l’allestimento di questo nuovo accampamento ora le 3 principali università newyorchesi sono mobilitate contro la guerra a Gaza. Il City College, o Cuny, City University of New York, è il sistema universitario pubblico cittadino ed è il più grande sistema universitario urbano degli Stati uniti, che comprende 25 campus: 11 senior college, 7 community college e 7 istituti professionali. Lo hanno frequentato (e spesso poi ci hanno insegnato) personaggi come Allen Ginsberg. L’apertura liberal alla Cuny è quella che ci si aspetta dall’università pubblica di una città come New York. È nella classifica dei migliori college del 2024 di U.S. News & World Report, ed è uno dei migliori college per mobilità sociale.

ANCHE QUI gli studenti hanno drappeggiato bandiere con le frasi «accampamento di solidarietà» e «fine del colonialismo». Un cartello mostra un elenco di richieste, compreso il boicottaggio di Israele, sottolo slogan «Viva Palestina».
Gli studenti della Cuny in genere provengono da ambienti più vicini alla classe operaia rispetto a quelli delle università private: le tasse scolastiche, per un residente di New York, sono di circa 7.000 dollari all’anno. Le tasse scolastiche alla Columbia e alla Nyu sono circa 9 volte quella cifra.

Anche qui gli studenti chiedono che l’università disinvesta dalle aziende con legami con Israele, che annulli i viaggi nel Paese e che protegga gli studenti coinvolti nelle manifestazioni. «É provato che la Cuny ha rapporti per milioni di dollari, in aziende che investono in armi e aerei israeliani – dice Sara Abdulaziz, studentessa 23enne. – Siamo qui per mostrare che stiamo riprendendo la Cuny, per la Palestina, per gli studenti».

TUTTO QUESTO fino a una settimana fa non esisteva. Quando la settimana scorsa la polizia ha fatto irruzione nell’accampamento della Columbia University, gli studenti di Yale hanno monitorato ogni minuto del caos che ne è seguito con i loro smartphone sui social media. La mattina successiva, a Yale avevano già piantato le tende. Quel giorno, durante una chiamata Zoom, più di 200 studenti provenienti da dozzine di altri college in tutto il Paese su sono riuniti per elaborare strategie su come dar vita a quello che nel giro di una notte è diventato un movimento. La velocità nel diffondersi e crescere di questa protesta ha più ragioni, fra cui la dimestichezza che gli studenti hanno acquisito durante i vari lockdown a collaborare e interagire da remoto. Quando dettagliano il modo in cui si accordano si vede che quello scatto di evoluzione sociale digitale fatto obtorto collo a partire dal 2020, sta dando ora dei frutti imprevisti.

ARRIVANO POI, nel caso della Cuny, degli aiuti da una generazione precedente, quella dei millennials che, quasi 15 anni fa ormai, aveva partecipato ad Occupy Wall Street.
«Ai tempi avevo 21 anni – racconta David Gross, ricercatore di scienze politiche – e avevo preso parte a Occupy Cuny, una specie di spin off che ha coinvolto gli ambienti accademici. Quando ho visto cosa stava accadendo ora, le tende che venivano montate come era successo a Zuccotti park, ho voluto trasmettere quello che avevo imparato con Occupy. Ad esempio l’allargamento sulla base delle somiglianze invece della divisione basata sulle differenze. Gli studenti della Cuny accolgono tutti i loro colleghi affinché si uniscano a loro nella protesta, negli altri campus hanno delle rigidità. Come me molti ex occupiers sono ora nel mondo accademico, e non siamo così lontani dagli studenti da non capire e ricordare cosa ti porta a dormire per terra sotto una tenda per fare sentire la tua voce. E più di tutto cosa devi fare perché la tua voce arrivi .Mi sembra che la loro stia arrivando».