Le vicende che negli ultimi tempi hanno investito e in molti casi terremotato numerosi sistemi nazionali delle relazioni industriali pongono l’esigenza di rafforzare ed espandere qualunque strumento possa oggi favorire un coordinamento transnazionale delle politiche contrattuali e sociali dei sindacati. La Fondazione Di Vittorio, forte dei suoi rapporti con analoghi istituti europei di emanazione sindacale, è attiva nel promuovere la ricerca e la formazione internazionale di quadri e delegati (Progetti Euracta, Item, Decoba), allo scopo di dotare le organizzazioni di quelle competenze comparate di cui oggi c’è più che mai bisogno.

Insieme alle norme contenute nei trattati internazionali e nelle linee guida varate da Ilo e Ocse in materia di multinazionali, i lavoratori europei possono far contare maggiormente la loro voce grazie al potere che viene loro riconosciuto da una normativa che ha da poco compiuto 20 anni dall’entrata in vigore, nel 1996. Si tratta della Direttiva 94/45, che istituisce Comitati aziendali europei (Cae) per quelle imprese di dimensioni comunitarie che impieghino almeno 1000 lavoratori negli Stati membri e almeno 150 lavoratori per Stato membro in almeno due Stati membri.

A tutt’oggi si tratta dello strumento più diffuso e normativamente esigibile a disposizione. Secondo dati aggiornati (Etui, 2015), sono poco meno di 1100 le multinazionali dotate oggi di un Cae, per un totale di lavoratori coperti stimabile intorno ai 18 milioni, e un numero di delegati impegnati fra i 18 e i 20 mila. Una indispensabile infrastruttura di esperienze e collegamenti, in grado di realizzare una prima interlocuzione sindacale allo strapotere delle multinazionali, ma con limiti che sono al contempo congeniti e di funzionamento. Fra i primi annoveriamo il riconoscimento di un diritto all’informazione e consultazione, ma non anche alla contrattazione collettiva. Il numero di incontri annuali (uno o al più due) è insufficiente, laddove l’assistenza sindacale ed esperta ha avuto un parziale riconoscimento solo dopo una revisione della direttiva nel 2009.

Nella pratica le criticità sono varie e persistenti. A cominciare da una inadeguata diffusione, che con buona pace di una normativa recepita da tutti gli stati Ue, copre a stento un terzo delle multinazionali che ne avrebbero i requisiti. E che le stesse aziende nascondono per ostruire l’avvio del processo. L’informazione fornita è di rado soddisfacente e quasi mai tempestiva laddove la consultazione, intesa come effettivo scambio di prospettive, risulta largamente elusa dalle aziende.

Lavoratori e sindacalisti locali hanno di norma una scarsa conoscenza (o stima) di questi organismi, coi delegati nazionali che alle riunioni annuali del Cae paiono esclusivamente assorbiti dai problemi dei loro siti, senza mai l’assunzione di una prospettiva transnazionale. Rivelando in ciò l’eterna e oggi acuita difficoltà di rinsaldare forme di solidarietà internazionale, fra ristrutturazioni globali e competizioni di mero costo.

Come superare queste criticità? Nella conferenza finale del progetto europeo Itrm, lo scorso 24 novembre a Milano, esperti e sindacalisti di vara provenienza hanno indicato alcune linee di sviluppo. Innanzitutto la formazione dei quadri e delegati a una maggiore europeizzazione delle relazioni industriali, fra comparazione normativa e prassi. Condizione necessaria ma non sufficiente. Servono campagne mirate di mobilitazione (incluso lo sciopero internazionale di gruppo), sfidando le multinazionali più spregiudicate anche sul terreno reputazionale, su cui risultano non poco vulnerabili.

Serve poi una evoluzione degli attuali diritti di informazione e consultazione verso una contrattazione transnazionale di gruppo, mondiale e non solo europea. Oggi di testi del genere se ne contano 292 (fra le italiane, Unicredit, Generali, Eni, Enel, Italcementi, Merloni, ma non FIAT/FCA), per un totale di 10 milioni di lavoratori interessati, ma su contenuti ancora lontani dal core business della contrattazione: orari e salari.

È necessario un potenziamento del sindacato europeo e internazionale, come vero attore negoziale a livello inter ­confederale e di settore. Con un impegno condiviso per un minimo salariale europeo che, progressivamente, esorcizzi lo spettro fatale del dumping sociale. Occorre infine una pressione politica sul legislatore europeo per emendare l’attuale normativa sui Cae ma oggi, soprattutto, per cambiare politiche economiche e sociali, intorno al primato della contrattazione collettiva multi-datoriale e per il pieno rispetto dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro.

*Cgil – Fondazione Di Vittorio