Il male contro il quale aveva lottato lo ha ucciso. Davide Imola, sindacalista dei freelance. La semplicità era forse la sua dote migliore. E ci voleva proprio questa per affrontare un compito tanto arduo quanto importante, decisivo per il futuro del sindacato: quello di dare cittadinanza nel movimento dei lavoratori a quelli che chissà per quale ottusa idiozia per troppo tempo non sono stati considerati tali e in troppi non si considerano tali: gli indipendenti, i freelance, gli autonomi, le partite Iva.

Davide Imola aveva contribuito in maniera determinante ad aprire le porte della Cgil a questo segmento della forza lavoro subordinata al capitale, illusoriamente «libera» ma fragile come pochi altri nel mercato, eppure costituita da persone che affrontano il rischio della vita con semplicità pari alla sua, senza reti di protezione. Immagino che abbia dovuto scontrarsi nell’ambiente di partito e di sindacato con un muro di pregiudizi tale da scoraggiare chi non avesse avuto la sua determinazione o ostinazione. Doti che si riscontrano spesso in persone miti come lo era lui, concilianti perché sempre alla ricerca di forme di coalizione ma in fondo intransigenti.

Aveva contribuito in maniera determinante a costituire la Consulta delle professioni della Cgil e l’Associazione 20 maggio, aveva sollecitato in questi organismi l’attenzione per i discorsi, le riflessioni e gli obbiettivi di lotta delle associazioni autonome dei freelance, da Acta alle varie associazioni professionali che in questi anni si sono andate formando. Aveva stimolato un dialogo con queste forme spontanee di autotutela, aveva sollecitato un confronto, senza nascondere le divergenze, anzi. E alla fine ce l’ha fatta a creare coalizione, perché proprio nelle ultime settimane, in occasione della discussione sul Jobs Act e sulla Legge di Stabilità, per la prima volta Alta Partecipazione, Confassociazioni e Acta si sono presentate unite nel chiedere al governo di rispettare certi diritti elementari e di non rendere più difficile la vita a chi lavora come professionista indipendente o artigiano digitale o intermittente.

Ma non è servito, un Parlamento semi-esautorato e un governo ligio ai diktat di Bruxelles (ai miei tempi si diceva «governo fantoccio») hanno risposto picche. Nelle stesse ore Davide è mancato e questa coincidenza acquista per me, ingenuamente, un significato simbolico. Certi diritti e la cultura che li sottende trovano ancora sbarrato il passo nelle istituzioni di questo paese. Non resta che tornare alle origini del movimento dei lavoratori, al mutualismo, interpretato in linguaggio digitale. Contro l’individualismo liberista: solidarietà. Sperimentare e innovare. Ne avevamo parlato più volte con Davide Imola: avremmo voluto poterlo fare assieme a lui. Il destino ha deciso diversamente. Ma chi gli è stato vicino continuerà, mi auguro, la sua battaglia.