Albert Kahn è stato un filantropo sui generis, un umanista illuminato e un finanziere «stravagante», come lo definivano i suoi contemporanei. Ebreo miliardario, morto in miseria in seguito al crollo della Borsa nel 1929, Kahn nasce in Alsazia nel 1860 e giovanissimo si trasferisce con la famiglia a Parigi. Dotato di una grande intuizione per gli affari, diventa in pochi anni il proprietario unico della banca Goudchaux in cui era entrato alcuni anni prima come impiegato, diventando uno dei più importanti finanzieri europei. Kahn aveva però ideali e progetti più ambiziosi, di carattere educativo e umanitario.
Nel 1898 promosse il programma di borse di studio Bourse Autour du Monde, istituite prima in Francia, poi in Germania, Giappone, Inghilterra, Unione Sovietica e Stati Uniti. Queste offrivano ai borsisti la possibilità di compiere un giro del mondo per 18 mesi in un paese da loro scelto di cui dovevano ritrarre usi e costumi. Tra i beneficiari anche le donne, ulteriore indicazione del carattere progressista di Kahn che voleva costruire una memoria visiva del mondo.
Convinto pacifista, Kahn credeva che la conoscenza di altri popoli incoraggiasse il rispetto reciproco e la collaborazione. Nel corso della sua vita assistette a tre terribili guerre, la prima fu quella franco-prussiana che determinò il trasferimento della famiglia Kahn a Parigi, visto che l’Alsazia era stata annessa alla Germania, e loro volevano mantenere la nazionalità francese, e le due guerre mondiali.

Classificazione di un pianeta

Quando morì nel 1940, le truppe tedesche erano entrate da qualche mese a Parigi. Nonostante il fallimento di ogni istanza pacifista ha creduto fermamente nella sua missione, con tutti i mezzi a disposizione. Kahn ha finanziato il primo centro di medicina preventiva all’Università di Strasburgo, un laboratorio di biologia, numerosi centri di studio e documentazione di carattere sociale e politico, ed ha istituito la cattedra di Geografia Umana al Collège de France. Dal 1910 al 1930 i borsisti, guidati dal geografo Jean Brunhes, direttore del laboratorio fotografico, viaggiarono in più di sessanta paesi per comporre un inventario fotografico e cinematografico del pianeta.
Scattarono circa 72mila lastre autocromatiche (primo procedimento di fotografia diretta a colori ideato dai fratelli Lumière nel 1904) e centottantamila metri di pellicola raccolti negli Archives de la Planète, la più importante collezione delle prime fotografie a colori al mondo conservata all’Albert Kahn Museum, aperto dal 1986 nella stessa area in cui aveva vissuto, nei pressi di Boulogne-Billancourt, sulle rive della Senna a Parigi. Oltre a raccogliere gli Archives de la Planète, di cui una parte è stata digitalizzata ed è accessibile attraverso postazioni multimediali, il museo presenta mostre, film e slideshow riguardanti la vita di Albert Kahn, e collabora con enti pubblici, tra cui il Festival Allers-Retours.
Kahn viveva in modo molto semplice, lontano dagli sfarzi che la sua posizione abbiente avrebbe potuto permettergli. Non amava mostrarsi in pubblico, vestiva in modo modesto, ma non esitava a soddisfare i suoi desideri.
Tra questi, costruire nel giardino circostante la villa in cui viveva, un’evocazione paesaggistica di diversi paesi e regioni del mondo, una sorta di atlante botanico simile al progetto Archives de la Planète da lui promosso. In seguito alla bancarotta di Kahn l’abitazione e il giardino furono confiscati e acquistati dalla Prefettura della Senna, anche se permisero a Kahn di viverci in comodato gratuito fino alla sua morte.
La scelta di comporre il giardino come un ecosistema diversificato non era un vezzo o una stravaganza, ma una naturale conseguenza del suo pensiero. Nei quattro ettari di terreno, con l’aiuto di esperti giardinieri, Kahn fece crescere piante provenienti dall’Africa, Oceania, Asia, America, Europa, per permettere al visitatore di compiere un viaggio intorno al mondo, con paesaggi diversi da lui denominati «scene».
Di ritorno dal suo primo viaggio nel paese del Sol Levante nel 1908 decise di creare nel giardino un villaggio giapponese. Seguito da alcuni maestri giardinieri «offerti» dall’imperatore giapponese, per poter meglio ricreare le atmosfere originalio, Kahn fece trasportare un ponte di legno rosso, una copia del «ponte sacro» di Nikko, una pagoda, lanterne, porte, e un padiglione per la cerimonia del tè. Quest’ultimo è stato in seguito sostituito da un nuovo padiglione donato dalla scuola Urasenke di Kyoto, che vi organizza cerimonie del tè, da aprile a giugno, e in settembre. Nel 1990 l’architetto paesaggista Fumiaki Takano è invece intervenuto sul giardino che si trovava in pessime condizioni, inserendovi un corso d’acqua, che attraverso una simbologia zen, rende omaggio alla vita e alle opere di Albert Kahn.

Itinerari iniziatici

La prima «scena» paesaggistica che s’incontra, uscendo dal museo, è appunto quella giapponese. Non vi sono cartelli o testi che indicano il passaggio da una scena all’altra (ma si può comprare una guida nello shop del museo). È un percorso iniziatico che non ha intenti educativi o didascalici; vuole invece suscitare piacevolezza, benessere e mostrare che diversi ecosistemi possono coesistere armoniosamente tra loro.
In questa sintesi vegetale del suo pensiero Kahn amava incontrare e intrattenere i suoi ospiti. È in questo luogo che ospitava gli incontri della Société Autour du Monde, da lui fondata nel 1906. La Société era frequentata dai borsisti e dai migliori spiriti dell’epoca tra cui Henri Bergson, che fu anche il tutore di Kahn, Marie Curie, Albert Einstein, Auguste Rodin, di cui era grande ammiratore, il premio Nobel per la letteratura Rabindranath Tagore e Andre Gide, per ricordarne solo alcuni. Abbandoniamo il giardino giapponese per entrare in quello francese, progettato nel 1895 dai paesaggisti Henri e Michelle Duchêne. Qui il riferimento sono i giardini francesi tradizionali del XVII secolo caratterizzati da simmetria e regolarità, espressi attraverso un prato rettangolare che si trova di fronte a una serra (al cui interno vi sono piante tropicali), il frutteto e una piantagione di rose, che Kahn considerava un walking frame, un tunnel di rose rampicanti in cui passeggiare. Il giardino inglese, subito dopo, è molto più irregolare, con bulbi che fioriscono a primavera, un ruscello che s’incastra tra rocce che evocano una rupe, e un piccolo cottage che dà all’intera scena un carattere pittoresco.

I cedri vanno al museo

Proseguendo nel suggestivo e silenzioso inventario di immagini e sensi incontriamo una ricostruzione su tremila mq del versante loreno del massiccio dei Vosgi, la foresta in cui Kahn ha passato la sua infanzia. Pesanti blocchi di granite e alberi di grandi dimensioni furono trasportati in treno direttamente dai Vosgi, nel 1902 quando iniziò la costruzione della foresta.
La foresta «blu» è invece situata sotto le finestre della casa in cui viveva Kahn, in modo tale che da quella posizione potesse vedere i cedri dell’Atlante e gli abeti rossi del Colorado. I colori degli alberi riverberano e si riflettono nelle acque di un piccolo stagno circondato da un prato apparentemente non curato.
Il giardino è stato aperto al pubblico nel 1937 in occasione dell’Esposizione internazionale di Parigi. Nel corso degli anni, anche dopo la morte di Kahn, i conservatori hanno sempre cercato di attenersi al modello originale, attraverso l’analisi e lo studio di più di duemila lastre autocromatiche scattate al giardino tra il 1910 e il 1950. Il giardino di Albert Kahn è una vera eterotopia, seguendo le indicazioni di Michel Foucault, che permette un viaggio non solo in diverse «scene» paesaggistiche, ma anche nel tempo. Un luogo prezioso (così come lo è il museo), non ancora abbastanza conosciuto, che testimonia la grandezza di un uomo e di un progetto politico e esistenziale.