Applausi, ieri, in Senato per la presidente brasiliana. Dilma Rousseff ha pronunciato in aula un appassionato discorso a sua discolpa nel processo di impeachment che si è messo in moto dal 12 maggio e che potrebbe escluderla definitivamente dalla presidenza e inabilitarla da ogni incarico pubblico per 8 anni: 54 senatori su 81- quanti ne bastano per condannarla con una maggioranza dei 2/3 – contro 54 milioni che l’hanno votata, confermandola in un secondo mandato, nel 2014. «Non aspettatevi da me il silenzio ossequioso dei codardi. Come in passato, resisterò», ha detto la presidente attaccando il «colpo di stato» messo in atto a beneficio di «un governo usurpatore».

Dilma ha ricordato i suoi trascorsi nell’opposizione armata alla dittatura militare, le torture e il carcere: anche in quelle condizioni – ha aggiunto – «ho continuato a combattere per una società più giusta. Ho sempre creduto nella democrazia e nello stato di diritto, e ho visto nella Costituzione del 1988 una delle grandi conquiste del popolo brasiliano». Per questo, «mai potrei perpetrare alcun atto contrario agli interessi di chi mi ha eletto». Dilma ha ribadito la propria innocenza dai reati di falso in bilancio di cui viene accusata per aver truccato i conti facendosi anticipare i fondi dalle banche senza autorizzazione del Parlamento. «L’impeachment è un’ingiusta condanna a morte politica – ha affermato – Sono innocente, non ho commesso alcun reato. Con me viene condannata a morte anche la democrazia, per la quale molti di noi qui dentro abbiamo lottato. Ma ricordo ai senatori che tutti saremo giudicati dalla storia. Non votate l’impeachment, fate giustizia, votate senza risentimento».

Rousseff aveva facoltà di parlare per mezz’ora, prorogabile per altri 30 minuti a discrezione del presidente Ricardo Lewandovski, che le ha concesso 46 minuti. Poi, ha sospeso la seduta perché sono scattati gli applausi. Dilma è arrivata in Senato in compagnia del suo predecessore, Lula da Silva, indagato dalla magistratura per presunto possesso illecito di una casa al mare. L’erario brasiliano ha anche sospeso le agevolazioni fiscali all’Istituto Lula e comminato alla fondazione dell’ex presidente una multa milionaria per presunte irregolarità amministrative. Con Dilma, c’erano anche il presidente del Partito dei lavoratori (Pt), Rui Falcao, alcuni ministri e parlamentari che le hanno offerto dei fiori e leader dei movimenti popolari. Il Frente Brasil Popular le ha rivolto un caloroso messaggio.

Fuori, migliaia di brasiliani in mobilitazione permanente contro il golpe parlamentare, e un imponente schieramento di polizia. Le manifestazioni si ripetono in tutto il paese al grido di «Fora Temer»: «fuori» il presidente a interim Michel Temer, che secondo le inchieste è rifiutato dalla stragrande maggioranza dei cittadini, colpiti dalle misure del suo governo neoliberista. Con la presidente, è arrivato in Senato anche il compositore, drammaturgo e scrittore Chico Buarque de Hollanda, convinto oppositore dell’impeachment. Uno dei firmatari della lettera di sostegno sottoscritta da numerosi intellettuali artisti brasiliani e internazionali. Giuristi e personalità politiche hanno recentemente portato un messaggio a papa Bergoglio, che ha fatto riferimento pubblico ai pericoli corsi dalla democrazia brasiliana.

Artisti e intellettuali sono scesi in campo fin dalle prime battute del processo, e hanno obbligato il governo Temer a ripristinare il ministero della Cultura, che non faceva parte del suo gabinetto. Un gabinetto senza donne, composto da uomini anziani, bianchi e facoltosi in un paese a maggioranza meticcia: il volto di quelle destre che stanno tornando in forze nel continente latinoamericano, decise a riprendere il controllo delle risorse e a scardinare i processi di integrazione messi in campo alla fine del secolo scorso con l’elezione di Chavez in Venezuela.

Dilma ha ricordato le vere motivazioni dell’impeachment: «Tutti sanno che è stato avviato dall’allora presidente della Camera, Eduardo Cunha, come ricatto politico affinché non sostenessi il procedimento per corruzione aperto nei suoi confronti. Ma non cedo ai ricatti. Le accuse contro di me sono ingiuste, non ho mai rubato e non ho conti all’estero. Siamo ad un passo da una vera rottura costituzionale». La sentenza, prevista per fine mese, potrebbe slittare a settembre.