Vent’anni fa «fu difficile persino organizzare il Pride», ricorda qualcuno. Ma invece fu grande e scese in piazza anche l’allora sindaco di Roma Francesco Rutelli. Quindici anni fa, figurarsi, era l’anno del Giubileo e del Vaticano che faceva fuoco e fiamme per evitare la sfilata Glbtq tra le chiese, l’anno di quel «purtroppo c’è la Costituzione» pronunciato dall’allora presidente del consiglio Giuliano Amato. Per dire che «purtroppo», appunto, manifestare era un diritto anche se il corteo era «inopportuno». Ma si fece lo stesso l’oceanico World pride a Roma (c’era ancora Rutelli sindaco, ma quella volta si sfilò ritirando il patrocinio del Campidoglio).

Anno 2015, un altro sindaco in piazza, Ignazio Marino, dietro allo striscione del Campidoglio, camicia bianca con le maniche arrotolate, fascia tricolore e cuoricino rosso appuntato, «siamo la città che crede nell’amore», dice e salta, balla, fa la corsa finale sui Fori imperiali insieme alla sua fila di corteo. C’è il vice sindaco Luigi Nieri con un pezzo della giunta, c’è il vicepresidente della regione Lazio Smeriglio, ci sono Imma Battaglia e la madrina Federica Sciarelli. Strette di mano al sindaco, selfie, «meno male che ci sei», un corteo decisamente Marino friendly, in giorni difficili.

Tanti anni passati da quel primo pride e anche, a Roma, quelli «bui» di Alemanno, ricordano in tanti, e il Family Day contro i famosi Dico sulle unioni civili che cambiarono pure nome ma non se ne fece niente lo stesso. E si arriva a questo Roma pride, in una Roma che appunto ha poco da essere orgogliosa per quello che sforna quotidianamente la Procura, ma che con Marino ha fatto passi avanti, sui diritti. Peccato che al governo ci sia Angelino Alfano, che si affanna a sguinzagliare prefetti per cancellare la trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero. Mentre Matteo Renzi, promette e promette, una legge arriverà presto. Quella alla tedesca che però, come ripete il portavoce del Pride Andrea Maccarone, è già superata, data 2001 e sta per essere archiviata dalla Germania.

Ma in Italia deve ancora essere aperta la pur minima breccia. Ed ecco che ci riprova un Pride coloratissimo, partecipatissimo, con la musica di Muccassassina e del Gay Village, il carro peloso dei bear, i Gorillas e i caschi di banane. E il caldo afoso. Ma non manca l’acqua fatta piovere dai carri, mentre le volontarie e i volontari della protezione civile distribuiscono bottiglie e spruzza tutti anche l’autobotte dell’Acea.

Senza aspettare concessioni, «i diritti dobbiamo prenderceli», dice Maccarone. Il carro del circolo Mario Mieli è attraversato da uno striscione diviso a metà, da una parte c’è «#ilverso giusto», con l’elenco dei paesi con le leggi più avanzate; dall’altra il «#verso sbagliato» con Iran, Cina, Russia… In mezzo sta la faccia di Renzi con sotto tre grandi punti interrogativi. Insomma, da che parte andrà? Quel disegno di legge alla tedesca, «già insufficiente», sarà ulteriormente modificato al ribasso? Dal uno dei 20 carri un’animatrice del Pride, sotto un’enorme parrucca rosa, recita l’elenco delle frasi omofobe inanellate da una serie di politici, alcuni dei quali ora nella maggioranza. Segue sonoro «vaffa».

«L’attuale discussione parlamentare non mi soddisfa assolutamente», dice il leader di Sel Nichi Vendola, ricordando il referendum irlandese e il voto dell’europarlamento sulle famiglie omogenitoriali, «ma in Italia parliamo di qualcosa che andava bene 30 anni fa e con timidezza», perché «il problema è che si turba Alfano. Io voglio poter fare famiglia». Ci sono tante famiglie arcobaleno, in corteo. E persino – e di questi tempi a Roma bisogna riconoscere che l’iniziativa dimostra un certo coraggio – una famiglia Pd, il presidente e commissario capitolino Matteo Orfini con figlioletta sulle spalle, «è una bellissima giornata».

Il corteo che parte da piazza Esedra attraversa anche piazza Vittorio «un luogo simbolo dell’integrazione, etnica ma non solo», ricordano gli organizzatori. Tante persone alle finestre salutano, si incontrano anche gruppi di Boy Scout reduci da San Pietro, «che carini», dice un manifestante e un altro, «però, sai a noi che ci farebbero…». E invece no, salutano, battono il cinque, si fanno fotografare partecipi, con buona pace di padre Georg che poche ore prima tuonava: «Inaccettabile equiparare le unioni gay al matrimonio sacramentale». Ma «noi siamo come i promessi sposi», dicono da un carro, «ce la faremo».

«La politica dia risposte a una società che cambia», twitta la presidente della camera Laura Boldrini. Ma il centrodestra ripete le solite litanie. Si arriva a piazza Venezia, «siamo 250 mila», poi 500 mila, «siamo qui al grido di ’liberiamoci’, dal razzismo, dalla cattiva politica che specula sui migranti, sui rom, sulla nostra pelle. Non ci fermeremo finché non avremo tutti gli stessi diritti. Chiediamo una nuova legge sull’identità di genere per le persone trans, l’accesso a tutti gli istituti giuridici familiari. Siamo pronti». La città intorno al corteo sembra pronta davvero. E il governo?