Il film si chiamerà 15-18 l’Italia in guerra, le riprese sono iniziate qualche giorno fa sull’Altopiano dei Sette Comuni, il «teatro» della storia è infatti il fronte nord-est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani. Alla regia di quella che appare come una delle iniziative più prestigiose per il Centenario della Grande Guerra c’è Ermanno Olmi, che ai luoghi della storia è profondamente legato. Bergamasco di nascita Olmi vive infatti da sempre a Asiago, in una casa immersa nella natura, tra silenzio e cielo. Suo vicino, e amico, era Mario Rigoni Stern, e dal Sergente nella neve, il regista doveva fare un film tanto tempo fa. Anzi fu proprio quell’incontro, quando era ancora un ragazzo a farlo decidere che l’Altopiano era era il posto giusto dove costruire la sua casa, fare famiglia. «Quando vidi per la prima volta questi paesaggi ondulati, simili alla steppa russa, capii che facevano parte del mio futuro» raccontava il regista di L’albero degli zoccoli in un’intervista qualche anno fa ricordando Rigoni Stern. Del film, poi, non se ne fece nulla, rimase però quell’incontro divenuto amicizia profonda e duratura nel tempo.

15-18 l’Italia in guerra (tra i protagonisti c’è Claudio Santamaria)sarà girato insomma «davanti casa» , sulle distese di prati e boschi dell’Altopiano ferite profondamente dalle bombe e dalle trincee della Guerra.

Nel ’59 la Grande Guerra l’aveva narrata Monicelli, sceneggiatura di Age&Scarpelli e Vincenzoni, con la coppia Sordi e Gassman, il romano Oreste Iacovacci e il milanese Giovanni Busacca, antieroi comici e demitizzanti la retorica della celebrazione. Fecero infuriare Gadda, che pure partito ragazzo per la guerra, fu tra i primi a metterne dolorosamente a nudo, nell’esperienza personale, la ferita. E però quel film, nel racconto nazionale della prima guerra, e della sua memoria, segnò un punto di rottura.

Le poche indicazione nelle note di regia del film di Olmi ci dicono che tutto quanto è «realmente accaduto. E poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento». Sarà Toni Lunarda la voce di questa memoria, un vecchio pastore che della Grande Guerra è stato protagonista. La figura di Toni arriva da lontano, da un altro film del regista, I recuperanti (’69, sceneggiato insieme a Rigoni Stern e a Tullio Kezich) nel quale i protagonisti erano gli uomini che, finita la guerra, andavano a cercare le bombe per sopravvivere. Uno di loro era Toni Matto, che è stato anche guida per gli ufficiali; dell’Altopiano che aveva cominciato a scoprire con le bestie da bimbetto non gli sfuggiva nulla. Di giorno o di notte sapeva sempre dove si trovava.

Asiago venne distrutta dai bombardamenti, racconta Olmi che nell’orto, quando si rivolta la terra si scoprono schegge e pallottole. «Al di là di questi reperti precisi che sono inconfondibili nella loro collocazione temporale e storica, verso il tramonto ho visto ancora le tracce delle bombe, degli avvallamenti e di vecchi camminamenti di trincea. Adesso tutto è stato coperto, ma l’erba cresciuta sulla carne umana è un velo pietoso. Se la guardiamo in controluce quando il sole è basso all’orizzonte, ci riporta tutto ciò che quella guerra ha rappresentato. Sia come grande dolore umano, sia come grande atto di umanità che quella guerra ancora aveva rispetto alle guerre attuali».

La prima guerra Olmi non l’ha vissuta, suo padre sì, ha combattuto al fronte, e i suoi racconti gli sono rimasti nel cuore. Diceva spesso dei compagni che aveva visto portare via avvolti in un lenzuolo e dentro una semplice bara di legno. «La celebrazione è un atto dovuto. Vorrei riuscire a accendere un’emozione nei giovani d’oggi, perché è proprio attraverso l’emozione che si può capire meglio la realtà».

Al di là delle celebrazioni, però, da anni nel nostro immaginario un lavoro sulla Grande guerra, demitizzante ogni vecchio libro di scuola, e soprattutto qualsiasi patina di eroico vanto, lo fanno nel loro cinema Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, lucidissimi, e implacabili, narratori del Novecento nel cui conflitto ritrovano l’attualità incessante del presente. La Grande guerra ce l’hanno mostrata in film come Su tutte le vette è pace, ma soprattutto Oh! Uomo. Sono stati gli unici, ma per questi artisti, esploratori nella loro ricerca dell’archivio novecentesco, e delle sue zone di ambiguità aperta, la Prima guerra è un passaggio fondante per ciò che sarà il mondo dopo. Forse una prova generale di qualcosa a venire, così tragicamente ripetuto nel tempo.

Oh!Uomo raccoglie materiali scartati, e censurati, girati dopo la guerra. Ci sono le tracce visibili sui corpi, nelle mutilazioni di braccia, gambe, negli occhi devastati dalle scheggie. «Prima tanto forte e pieno di vita, ora era sfinito. Steso sul lettino da campo, le labbra bianche, immobile, sembrava un cadavere. Solo una contrazione della bocca, simile ad un sorriso amaro, mostrava ch’egli viveva e soffriva» scrive Emilio Lussu (Un anno sull’altipiano). Le immagini di quei muutilati, di quella violenza scritta sui corpi nei fotogrammi «scovati» da Gianikian e Ricci Lucchi ce ne dicono la sostanza. Prima ancora che memoria, una storia che si ripete. Chissà se le celebrazioni saranno anche un’occasione per riproporli ovunque in Italia. Sarebbe una magnifica lezione per tutti.