A distanza di sei mesi dalle elezioni politiche, oggi l’Ecuador torna alle urne per esprimersi sulle politiche di sicurezza del presidente 36enne Daniel Noboa con un referendum che mira a modificare anche la costituzione.

Oltre 57mila poliziotti e 39mila soldati sono schierati per proteggere il voto, in un clima surriscaldato dai blackout elettrici e dall’assassinio di Jorge Maldonado, primo cittadino di Portovelo. È il terzo omicidio di un sindaco in meno di un mese.

GLI ECUADORIANI dovranno esprimersi su 11 quesiti referendari, che includono la possibilità per l’esercito di prendere parte permanentemente alle operazioni di polizia e al controllo di strade e carceri; pene aumentate per delitti come terrorismo, narcotraffico, crimine organizzato, omicidio, riciclaggio di denaro sporco e attività minerarie illegali; l’estradizione di cittadini ecuadoriani e una regolamentazione del possesso di armi da fuoco militari. Ma il referendum va ben oltre la sicurezza, chiedendo se i cittadini sono d’accordo con contratti di lavoro a ore e il ritorno all’uso dell’arbitraggio internazionale per le compagnie multinazionali.

«VOTARE SÌ, per rafforzare le nostre leggi e non lasciare alcuna possibilità ai delinquenti che vogliono prendere in giro la giustizia», esortava Noboa in un evento pubblico lunedì, sottolineando come il referendum rappresenti un passaggio necessario per interrompere l’ondata di violenza che attraversa il paese dal 2018 e che ha visto il proprio picco a gennaio, quando un gruppo criminale ha invaso in diretta gli studi televisivi di TC televisión e il governo ha decretato il conflitto armato interno.

Ma l’ampia portata delle domande ha provocato l’opposizione dei settori indigeni ed ecologisti. «Il governo deve consolidare la propria forza per imporre politiche neoliberaliste», accusava il presidente della Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador, Leonidas Iza, in un forum virtuale lo scorso 11 aprile. Per Iza, il costo di questa trovata elettorale sarà pagato con 60 milioni dei contribuenti, mentre le riforme potevano essere discusse direttamente nell’Assemblea Nazionale.

SECONDO GLI ULTIMI DATI della società di ricerca Comunicaliza, il referendum gode comunque di un sostanzioso supporto, con il 42,7% che hanno dichiarato di sostenere le proposte di Noboa. Il 27,5% ancora non ha però ancora preso una decisione. Maria, una residente della città di Guayaquil di 48 anni, è tra coloro che ha già deciso di appoggiare il presidente. Ha chiesto al manifesto di usare uno pseudonimo per proteggere la sua identità, dato che è stata recentemente vittima di ricatti. Racconta di come il suo quartiere sia stato sconvolto dal conflitto fra due bande criminali, fino a che Noboa non ha mandato l’esercito in strada. Ora ha troppa paura che un voto negativo possa far ripiombare la zona nel caos. «Cosa succederà se i soldati se ne vanno? È questo quello che preoccupa tutti».

GLI ESPERTI DI SICUREZZA sono però critici sulla portata delle proposte. Fernando Carrión crede lo stato di emergenza abbia garantito «buoni risultati nei primi due mesi, ma ormai sembra che l’effetto si sia esaurito», spiega al manifesto. Per lui, il governo deve affrontare il nodo carceri, veri e propri centri di comando delle gang. La docente della Scuola di Alti studi nazionali Carla Álvarez è ancora più critica: «Nessuna delle proposte della consulta popolare ha alcun impatto sulle strutture di funzionamento della sicurezza, e nemmeno su quelle del crimine organizzato».

Al di là della sicurezza, il quesito che ha provocato il maggior dibattitto è quello sul ritorno al regime dell’arbitraggio internazionale. Si tratta di un sistema che, per risolvere eventuali controversie fra uno stato e gli investitori privati internazionali, fa uso di un soggetto terzo indipendente. Soggetti che sono però tendenzialmente privati. Chi sostiene questa riforma è convinto che la sua adozione porterà a maggiori investimenti. «In una economia dollarizzata come quella dell’Ecuador, serve un aumento di forti investimenti stranieri diretti, allineati con le nostre politiche pubbliche», spiega Eric Vinueza, consulente della Corporazione della promozione per le esportazioni e gli investimenti (Corpei).

MA GLI ATTIVISTI CRITICANO questo metodo che impedisce di fatto di promuovere leggi sulla tutela ambientale. «È una via giudiziaria privata e unilaterale che permette alle multinazionali di denunciare gli stati, e in questi spazi gli stati solo possono difendersi” spiega Ivonne Ramos dell’ong Acción Ecologica.

Con la riforma della costituzione del 2008, l’Ecuador aveva proibito queste pratiche in quanto lesive della propria sovranità. Se il referendum ne permettesse il ripristino, per Ramos si tratterebbe di una sciagura per le finanze pubbliche del paese, «Tre degli otto procedimenti ancora pendenti ci potrebbero costare quasi 10 miliardi di dollari, l’equivalente del nostro budget per la sanità e l’educazione primaria e secondaria di quest’anno».